domenica 31 ottobre 2010

La danza delle vertigini


Un effetto secondario, ma assai fastidioso e invalidante, credo delle mie passate immersioni, è una labirintite che mi provoca crisi vertiginose. Mi capita di rado, ma quando arriva è come essere su una barca con il mare a forza nove........
Se ne possono scandire i tempi come in una sinfonia....

PRELUDIO e RONDO’:
Quando salgo sull’otto volante
e la stanza comincia a girare
è una danza di oggetti d’attorno.
Come un volo acrobatico inizia
e la terra mi ruota nel casco.

ANDANTE CON MOTO:
Un vulcano da tempo silente
d’improvviso tornato a tremare,
e disegnano picchi e montagne
i pennini del mio terremoto.
Due girandole al posto degli occhi,
sulle retine lampi guizzanti
e le palpebre a forza serrate.

CRESCENDO:
Fischia un vortice di vento
nei profondi labirinti
mentre tremula tintinna
la spirale delle chiocciole.
Cade l’asta del funambolo,
ed ondeggia e poi s’abbatte
fino a terra il mio traliccio
.
TOCCATA e FUGA :
Dal groviglio di viscere
retromarcia del cibo,
la bocca come un geyser
con ignote frequenze
erutta lava a fiotti
negli alvei di ceramica.

ADAGIO e FINALE :
Poi i nembi si diradano,
si smorzano gli sciami
del tremito tellurico,
rallenta la centrifuga,
la trottola s’arresta
e scendo finalmente
dal mio disco volante.

sabato 30 ottobre 2010

South Sentinel



Finendo di sfogliare l'album delle mie movimentate escursioni marine, ecco il ricordo di un'altra brutta avventura vissuta attorno alla piccola e sperduta isola di South Sentinel, nell'arcipelago delle Andamane.
Partendo dalla nave "Tarmugli", ancorata di fronte a quella splendida e deserta isoletta, uscivamo in barca per delle battute di pesca subacquea. O meglio, gli altri cacciavano e io facevo foto, portandomi appresso il mio Katiuscia più che altro per difesa che per velleità venatorie.
Come mi era già capitato nel Mar Rosso, anche stavolta, saltato dalla barca per ultimo e subito distratto dalla bellezza dei fondali, fui trascinato dalla corrente, che si divideva sulla punta spartiacque dell'isola in direzioni opposte, verso la parte a sud, mentre la barca e gli altri si erano allontanati verso nord.
Dopo dieci minuti di faticoso pinneggiare, durante i quali non avevo progredito di un metro, mi resi conto che era inutile sfiancarsi e aspettai che venissero a riprendermi.
Dopo un'altra mezz'ora di deriva, finito ancora più a sud, decisi di buttarmi verso terra. Il mare era cresciuto e delle ondate enormi si infrangevano su un ininterrotto fondale di scogli corallini. D'altra parte non c'erano alternative, o buttarsi in quella bolgia rischiando di finire in briciole, oppure diventare un relitto qualsiasi nella vastità dell'oceano.
Passai dei lunghi minuti di indecisione prima di decidermi a saltare dal trampolino di una di quelle ondate. Aspettai una serie di onde più piccole e alla fine mi gettai in quel gorgoglio, in un ribollire bianco di spuma, senza vedere più nulla. Sentii strisciare braccia e gambe su una serie di rocce, abbastanza levigate per non lasciare il segno e infine, con un ultimo balzo, andai dritto ad inzuccarmi nella prima striscia di sabbia, saggiando nello stesso tempo la durezza ma anche la confortante concretezza della terra.
Ero esausto. Mi liberai dell'attrezzatura e mi misi all'ombra, anche se per farmi notare meglio avrei dovuto restare al sole. Mi resi conto che non mi restava che attendere, perché attraversare la foresta a piedi nudi era impensabile, seguire la costa rocciosa impossibile e tornare via mare inconcepibile.
Passarono circa tre ore, durante le quali, spossato com'ero, cercai di non addormentarmi, perché le centinaia di grossi granchi che vedevo zigzagare sulla sabbia avrebbero fatto, temevo, un lauto banchetto con i miei ottanta chili di carne fresca.
Finalmente vidi la barca spuntare dal promontorio e farmi dei segnali. Poiché non poteva avvicinarsi, non mi restava che ributtarmi in quella bolgia. Decisi di abbandonare sulla spiaggia fucile, pallone e cintura dei piombi ( ma non la mia Nikonos) per essere più agile e leggero. Poi al momento giusto, calzate le pinne, mi ributtai in acqua, superai rapidamente il tratto critico e raggiunsi la barca. C'erano solo i due marinai indiani, perché il gruppo era già rientrato sulla nave e solo allora si erano accorti della mia mancanza.
Mangiai gli avanzi, poi nel pomeriggio, quando gli altri decisero di tornare a pescare, mi feci lasciare sulla spiaggia, perché volevo tentare di andare a recuperare il mio fucile nuovo e il resto. Idea più balzana non mi poteva venire. In pratica si trattava di tagliare il promontorio, coprendo il tratto di boscaglia da una spiaggia all'altra.
Avevo calzato i miei stivaletti di gomma e iniziai la traversata. L'intrico divenne subito fitto e il percorso più lungo del previsto. Saranno stati i discorsi sui pitoni del capitano, o l'oscurità che aumentava, o i ragni in faccia, o le mille contorte radici sul terreno, o gli improvvisi starnazzamenti di grossi uccelli, o i mille fruscii dei grossi granchi che strisciavano tra le foglie, fatto sta che il timore iniziale stava pian piano diventando quasi paura.
Decisi di buttarmi verso il rombo che sentivo del mare, e fortunatamente quando arrivai mi resi conto che ero proprio sulla spiaggetta della mia meta. Raccolsi la mia roba e iniziai il percorso inverso, stavolta più spedito, seguendo la traccia dei miei rami tranciati.
Ad un certo punto, proprio in mezzo al sentiero, c'era un granchio enorme con le chele spalancate, uno di quelli che si arrampicano sulle palme per staccare i cocchi. Non c'era modo di aggirarlo e dovetti calargli con forza il macete sul carapace. Ma la lama si era sfilata e non la mollava, finché riuscii a recuperarla con un bastone e finire l'animale con altri colpi. Lo infilzai e me lo portai appresso come un trofeo, ma all'arrivo gli indiani non lo vollero in barca e dovetti buttarlo via.
Dopo una giornata così riposante, non c'è da stupirsi se, dopo cinque minuti dalla fine della cena, ero già sprofondato in letargo nella mia cuccetta...

venerdì 29 ottobre 2010

Il fisico che fu...



A proposito della "vita di corsa" del post precedente, come corollario allego le foto di qualcuna delle mie sgambettate più significative, un paio che si riferiscono alle uniche gare non amatoriali, ma competitive a cui ho partecipato, il campionato nazionale master di marcia, e una, quella di Foglizzo, che mi ricorda invece la performance più pazza ed estrema che ho portato a termine, quattro maratone in quattro giorni, totale 168 km., concluse ognuna con serate di baldoria e sbronze.....

mercoledì 27 ottobre 2010

Una vita di corsa


Ho speso mille giorni
e più di mille miglia
seguendo il desiderio
di respirare a fondo
le brezze e le folate,
le nebbie ed i profumi
di monti e di vallate,
sequenza di falcate
su strade e su sentieri
di mille campi e case,
composto marciatore,
compasso delle gambe,
bloccando anche il ginocchio,
tallone e poi la punta,
bacino altalenante,
stantuffo delle braccia,
oppure sempre in corsa
col ritmo del respiro,
le gocce di sudore
colate nella pioggia,
bruciate insieme al sole,
e i tacchi consumati
su asfalti e su brughiere,
in terre anche lontane,
stancanti maratone,
migliaia di partenti
in gara con se stessi,
un occhio alle lancette
per vincere al traguardo
del tempo personale.
E infine solo un sorso
di bibita al ristoro,
oppure una medaglia,
un nastro o un attestato
da aggiungere ai ricordi
del mio perenne andare
sui duri saliscendi
e i prati della vita.

martedì 26 ottobre 2010

Una giornata al mare...


Tornando alle mie avventure da subacqueo, devo dire che altre due volte ho rischiato di finire i miei giorni disperso in mare. Oggi voglio ricordare quel giorno alle Dalhak, un arcipelago del Mar Rosso difronte all'Eritrea.
Il viaggio era iniziato già abbastanza inquietante scendendo da Asmara, posta su un altopiano, per arrivare a Massaua, sul mare. Poiché andare via terra era proibitivo per le bande di predoni, il nostro gruppo scelse quello che eufemisticamente si può chiamare aerotaxi, in realtà un catorcio di bimotore che andava solo perché eravamo in discesa, ma che ho il sospetto venisse poi rottamato all'arrivo, come altri suoi simili, senza mai tornare indietro... Ricordo che il pilota, rigorosamente a piedi scalzi, aveva dovuto scacciare a calci una gallina che, sfuggita dalle varie gabbiette poste elegantemente sopra le nostre teste, era finita starnazzando in mezzo alla pedaliera.
A Massaua ci informarono che il nostro "Hotel" era stato temporaneamente chiuso per un'infezione colerica, così alloggiammo in una stamberga ancor più fatiscente dell'aereo, con la "hall" piena di capre e un beduino che alla "reception" consegnava, oltre le chiavi, una specie di carta moschicida da appendere al muro, un candeliere smoccolato e una brocca d'acqua. La stanza sembrava la cella del Conte di Montecristo e le lenzuola sulla branda ospitavano cortei di formiche, probabilmente in caccia di altri inquilini meno visibili all'occhio.
Dopo una nottata passata su una sedia, andai a lavarmi la faccia in mare, evitando anche prudentemente di far la colazione inclusa nel "bed & brekfast", consistente in una tazza di latte spillato fresco direttamente dalle capre.
Più tardi, insieme agli altri, ci imbarcammo su una delle barche a motore usate dai locali per la pesca e per portare i turisti alle Dahlac. Queste isole sono 360, quindi c'è l'imbarazzo della scelta. Non so ora, ma allora erano tutte disabitate, e la maggior parte poco più grandi di uno scoglio, aride e brulle. Ma sotto la superficie, il mare è di una ricchezza di forme e di colori incredibile.
Mentre gli altri cacciavano, io ho cominciato a far foto, e, come al solito, un pò per indisciplina e un pò perché distratto ed attardato dalle soste per cercare le inquadrature migliori, lentamente mi sono allontanato dal gruppo, trasportato dalla corrente. Mi sono prima accanito ad inseguire una tartaruga, poi una grossa cernia maculata, e quando ho rialzato la testa dall'acqua non ho più visto nessuno, neppure la barca d'appoggio. Prima che la corrente mi trascinasse ancora più lontano, mi sono arrampicato su uno scoglio affiorante e poi sulla lingua di sabbia retrostante, probabilmente una delle 360 isole. Era poco più grande di quelle che si vedono sulle barzellette dei naufraghi, ma senza la palma, solo sabbia, scogli e grossi granchi con i loro occhietti peduncolati che mi scrutavano curiosi.
Vista la situazione conclusi che avevo scarse probabilità di ripetere l'avventura pluriennale di Robinson Crusoe, tenuto conto che avevo già una gran sete e fame, e di soccorrevoli Venerdì nei paraggi non se ne vedevano.
Tolta la muta, mi sono arrostito al sole per cinque ore sperando che mi ritrovassero.
Finalmente, quando già il sole era al tramonto e mi preparavo ad un'altra notte agitata, con la variante dei granchi al posto delle cimici, vidi una barca all'orizzonte. Saltato in piedi, cominciai a roteare sopra la testa il pallone rosso da sub sperando che mi vedessero, e mi sentii rinascere quando vidi la barca puntare diritta nella mia direzione.
Inutile dire che, una volta imbarcato, dovetti subirmi a lungo le imprecazioni incomprensibili dei barcaioli, più quelle dei miei compagni nelle varie lingue e dialetti italici...

domenica 24 ottobre 2010

Temporale a Milano



Eccomi sulla torre del parco,
come in cima a un minareto:
sotto un cielo minaccioso
di lampi all'orizzonte
s'inginocchia la città,
con le case lambite a terra
da mille ruote frettolose
e accarezzate sui tetti
da lunghe setole di sole
che forano le nubi scure.
Gli alberi del parco
come un muschio uniforme
ai piedi del fungo ferreo,
e i viali occhieggiano
sotto le foglie tremule,
ricamando i prati
come auguri di zucchero.
Sul tappeto di foglie
l'autunno semina castagne
lucenti come coleotteri.
Oltre i tetti delle case
fioriti di antenne
il duomo innalza pinnacoli
come un ciuffo d'erba spinosa.
Rivedo le sue guglie
e dentro un caleidoscopio
di vetrate a colori
sotto le volte di trina,
nella foresta pietrificata
delle grandi colonne,
e un brillare di lumi
come un campo di grano
nelle notti d'Agosto,
come un mare al tramonto
vestito di lampare.
Ora il cielo è travolto
da una lava nera di nubi
e guizzano lingue di fuoco
a colpire le antenne
dei lontani grattacieli.
E da questo balcone d'Olimpo
scaglio anch'io come Giove
i miei lampi di foto
come fulmini accesi
sulla mia capitale.

(pieffe)

sabato 23 ottobre 2010

Notte tempestosa


Ho già raccontato, nei giorni scorsi, di una lunga notte passata senza sapere se ci sarebbe stato un domani. Ora l'amico che mi ha chiesto su Facebook notizie di un mio lontano viaggio alle isole Hanish, mi dà lo spunto, rivivendo quella brutta avventura, di descrivere più in dettaglio un'altra angosciante notte vissuta durante quella navigazione.
La nave, un vecchio cargo etiopico col leggiadro nome "Donatella" a stento leggibile sulla sua scrostata fiancata, aveva trasportato scomodamente ma senza grossi problemi me e gli altri componenti la spedizione fino a quelle sperdute e deserte isolette tra Eritrea e Yemen, dove passammo tre indimenticabili giorni a fare immersioni in quello stupendo mare. Ma poi la prima sera del ritorno, con il mare in burrasca, d'improvviso il motore si piantò e la grossa nave cominciò a scarrocciare al traverso, con le onde che si schiantavano a dritta rovesciandosi sul ponte, spazzando via anche i bagagli che non avevano trovato spazio nelle anguste cabine, e anche le grosse prede che molti avevano lasciato a disposizione dell'equipaggio.
La situazione si mostrò subito molto preoccupante: la nave rischiava di affondare, e nella migliore delle ipotesi di incagliarsi e spaccarsi su uno dei numerosi banchi corallini affioranti di cui è disseminato il Mar Rosso.
Il comandante decise di lanciare l'SOS, ma da Massaua risposero che non c'era nessuno che poteva intervenire, distanti tre giorni di navigazione e con quel mare, e quindi che dovevamo arrangiarci da soli. Allora tutti gli uomini dell'equipaggio iniziarono in sala macchine una estenuante lotta, lavorando sul motore tutta la notte, prima che il mare avesse il sopravvento. Per cercare di raddrizzare un pò lo scafo e tenere la rotta più al vento, altri uomini avevano legato dei grossi teloni sulla prua a mò di spinnaker, ed era buffo vedere una pesante nave d'acciaio con una ridicola vela gonfiata sulla prua....
Soffrivamo tutti il mal di mare, ma mentre gli altri erano rimasti sottocoperta, io mi ero disteso sul ponte superiore, e aspettandomi di finire in mare da un momento all'altro, mi ero quasi freddamente preparato a questo finale, indossando la mia muta subacquea, per restare a galla più a lungo possibile, e legandomi una borraccia alla cintura per dissetarmi. Serrai anche il pugnale alla gamba, non tanto per improbabili lotte coi pescecani, ma per staccare qualche patella o infilzare qualche granchio nel caso fortuito che, andando alla deriva, fossi finito su qualche scoglio.
Ma in realtà ero convinto che fossero le mie ultime ore, e pensavo, fissando quel cielo nero ma pieno di stelle, quale beffardo destino mi aveva portato a crepare in quello sperduto mare, senza neanche arrivare a conoscere mio figlio che sarebbe nato di lì a poco....
Era già quasi l'alba, quando d'improvviso sentimmo un paio di singhiozzi tremolanti del motore, poi un battito incerto ma costante, accompagnato dalle urla di esultanza di tutto l'equipaggio, che era riuscito ad isolare il pistone grippato, facendo ripartire il motore che ora pulsava regolare, anche se con tre anziché quattro pistoni.
Così la nave riprese la sua rotta, e lentamente ma regolarmente arrivammo alla fine del nostro avventuroso viaggio. All'arrivo, sul molo di Massaua, c'era l'armatore ad aspettarci, quello che aveva risposto picche alla nostra richiesta di aiuto: appena arrivò a tiro, lo bersagliammo dal ponte con una nutrita scarica di pomodori e pesci marci...

giovedì 21 ottobre 2010

To be or not to be


Quando mi capita di seguire in TV dei films o telefilms americani, o ascoltare dei testi di canzoni in inglese, mi prende lo sconforto, perché capisco solo un quarto di quello che dicono, nonostante i miei anni di corso di questa lingua e la lungua pratica operativa in un'azienda americana dove parlare l'inglese era un requisito indispensabile.
Mi rendo cioè conto di quanto sia diverso capirlo e parlarlo a livello commerciale e lavorativo dalla comprensione della veloce parlata comune, magari con le inflessioni dialettiche dello "slung".
In queste occasioni mi torna in mente la situazione d'incubo del mio primo impatto con questa lingua, quando, studentello del liceo, andai ospite di una famiglia inglese nei sobborghi di Londra. In teoria avrebbe dovuto esserci, a superare gli impacci e favorire la comprensione linguistica, la figlia mia coetanea di quella coppia. Ma Joan, così si chiamava, in quei giorni era ancora in collegio,e io mi ritrovai, all'arrivo, seduto in salotto davanti a due austeri genitori che aspettavano da me una fluente dissertazione nella loro lingua, per presentarmi e illustrare il mio paese e la mia vita. Conoscendo a stento la prima declinazione del verbo essere e bloccata dall'emozione anche la reminiscenza di quelle quattro parole imparate ascoltando Elvis o Frank, il mio mutismo divenne a tal punto imbarazzante che la padrona di casa venne a mettermi in mano un dizionarietto d'inglese.
A quel punto mi paralizzai del tutto e le uniche due parole che riuscii a partorire furono "Good night", quindi mi alzai e me ne andai a letto.
Fortunatamente dopo tre giorni arrivò Joan e la familiarizzazione con la lingua, non solo con quella dell'idioma, progredì in maniera esponenziale....

domenica 17 ottobre 2010

Passata la nuttata...

Visto che ho introdotto l'argomento malanni, concludo la vicenda con dei versi scritti successivamente all'intervento, in verità un pò arcaici come stile, forse per l'influsso degli studi classici, o solo per l'effetto dopante dei medicinali e di qualche premurosa infermiera.....

Sospinse un giorno i raggi suoi nel buio
del tetro stagno la lontana stella
dove caduto il mio vetusto tronco
giaceva inerte e privi ormai di linfa
erano i rami e senza luce spenti.
Destato dalla scossa e dal chiarore,
espulsa l’acqua dalle fibre intrise,
sospinto dalla forza dei fermenti,
di nuovo emerso e a quel tepore esposto,
ridiede vita ai vecchi suoi germogli
e a nuove foglie nel vento trepidanti.
Poi il sole scelse un emisfero opposto
e andò a scaldare rigidi orizzonti:
fu breve la stagione e la sua luce
rara si fece e il cielo una matassa
di nubi scure e gelide tempeste.
Venne l’autunno ad arrossir le foglie
del vecchio tronco e poi gelò l’inverno
di quei virgulti ogni rinato ardore.
Ma in fondo quel calore non fu perso
e la memoria di quel sole estivo:
la dura scorza in cuore inteneriva
anche se i giorni furono di neve.
S’aggiunse un nuovo anello al legno antico
mentre dormendo serbava vivi umori
e il sogno di una nuova primavera,
un sole nuovo che ti riscalda il cuore
e un raggio che trafigge il tuo guanciale.

sabato 16 ottobre 2010

Funghi e piselli


Prendo spunto da un articolo di oggi su Repubblica:

" Operato, ma il tumore al polmone
era una piantina di piselli in crescita "


per tornare al mio ultimo post " Vigilia", e notare una curiosa e divertente similitudine con quanto accadde a me in quell'occasione. Anche nel mio caso era stato diagnosticato un tumore, non al polmone ma al cervello ( e quindi con prospettive ancora più infauste), ma quando il "mellone" è stato aperto hanno trovato una colonia di miceti, come fosse un ceppo di chiodini, sviluppatasi probabilmente per qualche spora passata per via ematica fino al livello cerebrale. Colpa delle mie frequentazioni micologiche nei boschi settembrini? Non lo sapremo mai, però da quella volta, per prudenza, i funghi vado avanti a studiarli solo sui libri.....

giovedì 14 ottobre 2010

Vigilia


Giorni fa ho visto in TV il film "1 su 2", con Fabio Volo che aspetta l'esito di una biopsia, per conoscere se deve operarsi per un tumore cerebrale o no.
Guardandolo, ho rivissuto una simile angosciosa esperienza di qualche anno fa, anzi peggiore perché io ero un passo avanti, cioè alla vigilia dell'intervento per scoprire che cavolo avevo nella testa che mi aveva mandato in corto circuito tutto l'impianto elettrico.
Ho scritto fino a tardi quella notte quello che probabilmente era il mio saluto alla vita, e tra le altre cose ci sono questi versi, non certo allegri, ma ne avevo ben donde.... (Poi, per fortuna, la mela non era bacata...)

Non vedo chiare lettere:
un verde di promosso
un rosso di bocciato
su questa oscura pagina.
Sotto l’ambigua maschera
di tecniche parole
dalle greche radici
e gli sguardi sfuggenti
dei camici sapienti
cerco la mia risposta
di fronte al cieco bivio,
e un chiaro segnalibro
ancora tra le pagine
del mio domani incerto.
Ma la sentenza è scritta
nel plico sigillato
di pieghe cerebrali
e una notte d’attesa
divide la mia ansia
dal taglio dell’anguria.
Un ponte di nebbia
verso una sponda ignota
queste ore nel buio
prima del lungo sonno
e l’affondo del bisturi.
S’affollano i pensieri
senza una via d’uscita:
forse domani il varco
aperto troveranno
per volare più in alto,
insieme alla zanzara
a cui regalo un primo
notturno contributo
prima che arrivi l’alba
a suggermi le vene.

mercoledì 13 ottobre 2010

Qui pro quo

Questo pezzo di romanesco verace è troppo divertente e me lo sono copiato pari pari :

Carissimo,
t’ho visto ieri ner mentre che scennevi er cane pe’ pisciallo..triste triste.
Capisco che c’hai er patè d’animo pe’ la guera, de fronte a ‘ste cose restamo tutti putrefatti,
ma nun vorei che sodomizzassi er tutto;capita anche a me de sentì come ‘n dolore ‘n mezzo allo sterco, come che avessi fatto troppo bidi bolding, quanno sento parlà l’ambientalisti islamici, e m’arrivano certe zampate de caldo…come sotto li raggi ultraviolenti.
Spesso ci si deve da fermarsi e darsi una rifucilata, come Tomba dopo che vinceva ‘no Slavo Gigante, e siccome che anche l’ottico vole la sua parte ( a proposito, ho saputo che da vicino ce vedi bene ma da lontano sei lesbica) diciamo chiaramente che rispetto a ‘sti arabi semo agli antilopi, perché so’ solo degli animali allo stato ebraico..
Ora spezziamo un’arancia in favore della pace, è inutile piangere sul latte macchiato, dobbiamo anzi unì l’utero al dilettevole, evitando però de dacce la zuppa su li piedi!!
Tu hai studiato molto, ma io sai.. so n’auto de latta, ho iniziato affliggendo i manifesti, quanno c’era peluria d’operai..ma ora vivo bene, anche se nun c’ho le piume de stronzo pe’ famme aria..
Da vecchio non voglio più essere de sgombro a questo mondo, e quanno che me moro me faccio cromare.
Pace e pene

lunedì 11 ottobre 2010

Pensieri


Un altro ieri
e i miei pensieri
come le foglie d'autunno
a lambire quei tuoi sassi
di parole ormai indurite
e seguire poi gli scivoli
senza ritorno
di rapide correnti
di ignote cascate,
fino a fondersi nel mare
dove torna tra le onde
il ricordo del tuo si,
con la luce del tuo corpo
e una fata tra i capelli
colorando le parole
di promesse musicali
tramontate dopo un'ora
su quel cielo all'orizzonte.

domenica 10 ottobre 2010

Pane al pane


Dopo parecchio tempo, ho ripreso la bici dalla cantina e ho fatto un lungo giro. Ma la lunga astensione mi ha procurato quella che i ciclisti professionisti chiamano una irritazione al "soprasella". Sono andato in farmacia per cercare un rimedio ma mi sembrava buffo chiedere qualcosa per il "soprasella". D'altra parte mi scocciava e mi sembrava comunque inelegante dire alla giovane farmacista che mi bruciava il culo, quindi le chiesi timidamente una pomata "per il deretano".
Lei mi propose una crema che mi avrebbe tolto il prurito, al chè specificai che si trattava di un bruciore piuttosto che un prurito e lei mi suggerì una pomata emorroidale. Precisai che non avevo emorroidi e allora mi propose una confezione su cui lessi " crema rettale, tubo con cannula" . A questo punto, per non protrarre l'equivoco, mi vidi costretto a specificare dove esattamente sentivo bruciore, ma per non dire papale papale "culo" (4 lettere) scelsi un giro di parole più tortuoso, più o meno: "all'esterno,sullaparteintimaposteriorevicinoall'orifiziodelladefecazione" (70 lettere). E lei, con un'aria spazientita: " Insomma sul sedere?" " Ecco,si, non mi veniva la parola..." risposi con imbarazzo.
Alla fine ho ottenuto la mia pomatina, tipo quella che si mette ai bambini per gli arrossamenti del culetto, ma il fastidio non mi è passato subito, e la vicenda mi aveva evidentemente turbato il subconscio, perché la notte seguente ho sognato che tornavo in farmacia e, appena entrato, la farmacista, a voce alta e davanti a tutti, ha esclamato: "Ah, lei è quello del bruciore al culo !"....
La mattina dopo ho preso la bici e l'ho rimessa in cantina....

giovedì 7 ottobre 2010

Elena


Oggi traduco in versi un altro mio racconto, un altro nome di donna al quale ho indirizzato virtuali mazzi di fiori, rapidamente appassiti al mio risveglio....




Astrusa fantasia
scambiare la palestra
per la segreta stanza
dove arrivavi a sciogliere
le mie annodate redini
e insieme avviluppando
contorti miei pensieri.
Che dolce masochismo
arrendersi al tuo invito
di rinnovare ancora
quel morbido supplizio,
forzare le giunture
dell’arto mio ferito
con lente rotazioni.
Reagivo alla tua spinta
pensando quasi a un gioco
invece che all’effetto
del solito esercizio...
Piacevole illusione
confondere il tuo polso
serrato sul mio braccio
col dolce di un abbraccio,
sentire la tue mani
avvinte sul mio petto
non come un esercizio
di esperta terapista,
ma un cupido massaggio
sorgente d’emozione,
scambiando le parole
dettate dal mestiere
per frasi dedicate
speciali per me solo.
Il lume dei tuoi occhi
fissati dal mio sguardo,
un’onda di capelli
discesi sul mio volto,
e il ciondolo d’avorio
pendente dal tuo seno,
miraggi della mente
tornata lustri indietro.
Ho scritto anche dei versi
su questa mia chimera,
ma quando son tornato
per farti questo omaggio
al posto c’era un’altra,
e tu sei andata altrove,
forse per dare inizio
a un'altra doppia azione,
guarire un altro corpo,
ferendo un altro cuore.

mercoledì 6 ottobre 2010

Sensual lingerie


Se era nuda me ne andavo,
la volevo un po’ vestita:
mi piaceva in sottoveste,
col kimono o col pigiama,
col bustino e mutandine
con i pizzi ed i ricami,
con le calze trasparenti,
con il body od il collant.
Meglio ancora in baby doll,
in guepiere e giarrettiere
in corsetto e sottogonna,
in coulotte e perizoma,
se poi sotto la vestaglia
si vedeva il reggipetto
con le coppe a balconcino,
con il tanga o con gli slip,
quasi quasi mi scordavo
che era solo un manichino.

martedì 5 ottobre 2010

Sentieri


Questa immagine sembra un bel sentiero nel bosco, all'ombra di verdi alberi e un bel pergolato di rami e di foglie. Invece l'ho vista sfogliando una rivista medica, e rappresenta una fistola anale.... Quando si dice che l'apparenza inganna.....

lunedì 4 ottobre 2010

Centauro

Ho rischiato diverse volte la pelle, ma questa è la volta che ci sono andato più vicino...

Era tempo che sognavo
una moto giapponese
e alla fine coi risparmi
me la sono conquistata:
bella, nuova e rilucente,
un bel rombo del motore,
la ripresa assai potente,
e montarla un godimento
come quando fai l’amore.
La lanciavo in tangenziale
per andare a lavorare
e attirava come miele
le colleghe in aeroporto.
Quante corse a tutto gas
sui viali all’idroscalo
col sellino condiviso
e due mani in vita strette
di una bionda senza casco,
poi la fine della corsa
su un bel prato del laghetto.
Venne il giorno che scendevo
dal Turchino a tutta birra,
cento curve a cento all’ora
e alla fine un rettilineo
per sfrecciare giù in pianura,
ma poi c’è l‘ultima curva
veramente inaspettata.
Troppo tardi la frenata:
la mia moto decollata
e volata a deformare
la barriera del viadotto,
poi con giri rimbalzata
sull’opposta carreggiata;
io sbalzato a rotolare
sull’asfalto già intasato
dal vicino ferragosto.
Graffi e strappi casco e tuta,
solo botte e contusioni
ma la pelle conservata,
e la moto malridotta
come coccio trasportata
da un furgone di soccorso.
Da quel giorno le due ruote
ho per sempre abbandonato
e talvolta se rifaccio
al volante quella curva
passo in terza ripensando
a quel giorno fortunato
quando in ciel non sono andato
ma soltanto sul selciato.

domenica 3 ottobre 2010

Messaggi


Su una cassetta della posta della mia via ho visto attaccato un messaggio " Con la pubblicità mi ci pulisco il culo"... Linguaggio non proprio fine ma indubbiamente efficace, a meno che qualcuno dei giovanottelli ingaggiati per distribuire pubblicità non lo interpreti diversamente, e riempia la casella di volantini per chi, poveretto, non ha nemmeno i soldi per comprarsi un pò di carta igienica...

sabato 2 ottobre 2010

Nibel


E' un amico affezionato, fedele, paziente, generoso, sempre pronto a farmi compagnia, ad accorrere quando lo chiamo, ad accettare con gioia qualsiasi cosa gli voglia dare o gli voglia dire. La mattina aspetta per fare insieme una passeggiata, se lavoro aspetta che abbia finito, se non sto bene aspetta che sia guarito, se dormo aspetta il mio risveglio, se devo partire aspetta il mio ritorno. E' il mio cane Nibel.

venerdì 1 ottobre 2010

Una gita fuori porta...


Un amico giramondo mi ha proposto di aggregarmi ad un viaggetto che ha in programma, 21 giorni in Cile, isola di Pasqua, Terra del Fuoco ecc. dalle montagne a 4000 mt. ai ghiacciai della Patagonia, insomma una cosa del tutto riposante....
Le avventure non mi hanno mai spaventato, in passato sono andato in posti anche più selvaggi, ho girato abbastanza il mondo e sarei ancora pronto a fare subito la valigia, come ho fatto da un giorno all'altro dieci anni fa per andare alla maratona di Honolulu.
Ma non sono tanto gli anni che ho in più sulle spalle che mi spaventano. Se non fosse per i problemi di salute che mi hanno tarpato le ali in quest'ultimo decennio, non ci penserei due volte a partire, ma un tour de force così intenso metterebbe a rischio me e potrebbe complicare la vita anche agli altri partecipanti, quindi questa volta ricorrerò finalmente a quella riserva di saggezza che ho sempre tenuto da parte e finora mai usato...
A proposito di Honolulu, ho conservato la cartolina che ho spedito ai miei in quell'occasione, e che diceva così :

Festeggiando i sessant’anni
per sconfiggere i malanni
in Gennaio mi son detto:
devo fare un bel giretto,
e di corsa son partito
come Forrest incallito,
superando cento tappe
dei chilometri le mappe,
finchè ho detto, vaffanculu,
vado fino ad Honolulu.
Sono qui col fiato corto
per la grande maratona :
all’arrivo, stanco morto,
m’hanno dato una corona;
del millennio questa fine
voglio chiudere in bellezza:
la mia piuma, come al cine,
sta volando nella brezza.