lunedì 21 febbraio 2011

La bellezza


Per un costante abbaglio
eri stata da sempre
come un ricco vestito
che il sarto vede e sceglie
con il metro degli occhi.
Da sempre ti guardavo
come si guarda il fiore
senza aspettare il frutto,
come ammirando i fregi
e gli ori in copertina
senza leggere il libro.
Tenevo il tuo forziere
lucente di arabeschi
senza saper se pieno
di stracci o di monete,
ma il tempo poi ha disciolto
la patina dorata
che copriva il dipinto
ed infranto quell’urna
preziosa di ceselli
che affascinava gli occhi,
per togliere le bende
al tuo corpo nascosto.
E ho potuto scoprire
la tua vera bellezza
senza vederti in viso,
come ballando al buio,
seguendo la corrente
del fiume di parole,
sentendo la tua pelle
affiorare dal trucco
dei pizzi e dei profumi,
leggendoti negli occhi
oltre il sipario sceso
di maschera sul volto,
come aprirti le valve
e trovarci una perla.

martedì 1 febbraio 2011

Il topo e le sabbie mobili


Ero seduto davanti alla TV, girai un canale e lessi un titolo che scorreva in basso sullo schermo, “200 topi inghiottiti dalle sabbie mobili”, mentre le immagini mostravano in primo piano una scena angosciante: c’era un grosso topo impantanato in una pozza melmosa, ormai sommerso con zampe e addome, quasi impietrito dal terrore, mentre un altro topo, presumibilmente la compagna o il compagno, si affannava disperatamente, non ad aiutarlo perché non poteva far nulla per salvarlo, ma si direbbe a confortarlo e stargli vicino in quegli ultimi momenti di vita. Stando ai margini della pozza, continuava freneticamente a leccare, quasi a baciare, il musetto dell’altro topo che con gli occhi sbarrati lo fissava, agitando le minuscole orecchie, l’unica parte del corpo che riusciva ancora a muovere.
Questo disperato saluto andò avanti finché il povero animale affondò del tutto, e la cosa che mi sconvolse di più è come l’operatore avesse potuto riprendere freddamente quella scena senza sentire, almeno in extremis, il bisogno di intervenire per evitare una morte tragica a quel povero essere e un dolore al suo simile. Magari aveva gettato lui stesso il topo nelle sabbie per poter girare quel video...
In quel momento pensai che, per quanto abitualmente considerati spregevoli e ripugnanti, anche i topi hanno dei sentimenti, seppure animaleschi, non certo all’altezza di quelli umani, ma neanche all’altezza della crudeltà che l’evoluzione ha consentito agli uomini.
Poi d’un tratto, evidentemente scosso come da un incubo, mi sono svegliato da questo brutto sogno, proprio stanotte, e sono rimasto a lungo sveglio a considerare se quella scena non avesse un significato premonitore, fosse cioè il presagio di qualche prossimo orrendo fatto di cronaca.
Poi invece ho pensato che fosse solo il frutto del rimorso che spesso mi riaffiora nell’inconscio per tutti i topolini che ho vivisezionato ed ucciso durante il miei studi di biologia, pratica che detestavo e che è stata una delle ragioni, se non l’unica, per cui ho abbandonato quel corso di laurea.
In alternativa o in aggiunta, c’era anche un altro brutto ricordo legato alla brutta fine di un topo. Anni fa avevo notato in cantina delle pagine di una rivista rosicchiate e il sacco dei croccantini del cane bucato, così avevo messo in giro dei pezzi di cartone cosparsi di colla muricida.
Il giorno seguente andai in cantina, sentii un disperato squittio e vidi un topolino invischiato nella colla. Si era agitato tanto che ormai aveva tre quarti del corpo, muso compreso, appiccicato al cartone e, anche volendo, non avrei potuto staccarlo se non martoriandolo. Così gli evitai una penosa agonia capovolgendo il cartone e salendoci sopra.
Ma da quel giorno non usai più la colla, presi in casa un gatto che tenne alla larga i topi, e se anche ne catturò qualcuno, penso che fosse una morte più rapida e comunque molto più conforme alle leggi della selezione naturale.
Però, tornando al sogno delle sabbie mobili, mi era rimasto impresso lo sguardo di quel topo, come se in quel primo piano avessi visto qualcosa di più di quanto possano esprimere i minuscoli occhi di un topo. Per un momento cioè avevo rivisto il lontano sguardo, prima spaventato, poi umido e triste e infine rassegnato, di una madre che mi abbandonava e che non potevo far nulla per trattenere, se non stringendole una mano come per un conforto e un addio.
Lentamente poi, da quella prima impressione di premonizione, e poi di ricordo, la scena è diventata anche un presentimento, e ho visto me stesso in quell’ora del distacco, sull’orlo di quella fossa melmosa, forse con qualcuno vicino che ormai non poteva aiutarmi, se non stringendomi una mano per accompagnarmi a sprofondare senza paura…
Mi sono alzato che non era ancora giorno, come per uscire da quella notte inquietante, e accendendo la luce ho notato sul comodino, come per una strana combinazione, il titolo del libro che sto leggendo in queste sere: “La memoria del topo”…