lunedì 31 ottobre 2011

Fior di lantana


Fior di lantana
la vita è proprio strana,
monete a doppia faccia
miraggi e carta straccia.
Ti compri un gioiellino
che credi d’oro fino
poi scopri che è una cacca,
è solo una patacca,
ti vendono un dipinto
tu credi non sia finto,
lo sai quanto ti costa
poi scopri che è una crosta,
se prendi un’auto usata
la scopri taroccata,
ti danno del caviale
ma puzza mica male,
se è un vin da collezione
ti accorgi che è un bidone,
se metti i soldi in banca
un buco si spalanca,
ti piace un candidato
lo voti e t’ha fregato,
con quel che t’ha promesso
t’ha solo fatto fesso,
ti sposi un’illibata
e scopri che è sfondata,
insegui il grande amore
ti spezza solo il cuore,
cercavi un vero amico
ma vale quanto un fico:
fra tanta fregatura
se vuoi fede sicura
di certo non rimane
che solo il tuo bel cane.

mercoledì 26 ottobre 2011

Tradimento


Quella che segue è un'altra composizione che messa in rete ha provocato reazioni e critiche per le crude espressioni con cui si conclude. Allora la trascrivo dove fin dall'inizio avrei dovuto metterla, su questo privato "diario" dove penso di poter liberamente esprimere i miei pensieri e i miei sentimenti senza provocare proteste.
Comunque a chi ha stigmatizzato le mie parole ho già pubblicamente spiegato che i miei versi si riferiscono ad un vecchio episodio del 1970, e il motivo per cui, secondo me, la destinataria degli epiteti meritava, in quel frangente e a caldo, una mia reazione così violenta.
Ho pure spiegato la ragione (chiamiamola "licenza poetica"..) per cui ho contrapposto una prima parte di versi volutamente dolci e romantici con l'improvvisa forte chiusura: l'intenzione era di far sorridere chi è più propenso a interpretare come fantasiose e quindi cogliere il lato umoristico delle mie "filastrocche" e dall'altro invece di far ricredere, con quel violento finale, e quindi invitare a non fare supposizioni gratuite, chi pensa subito di intravederne riferimenti attuali.

Eri polena del mio vascello,
polare stella della mia rotta,
gioiello caro del mio forziere,
... prezioso fiore del mio giardino,
il sole ardente del mio mattino,
chimera e incanto di ogni mio sogno,
opera d’arte tra le mie tele,
perla lucente della collana,
diamante acceso del mio monile,
crema squisita sul mio palato,
il fiocco rosa del mio regalo,
ricamo d’oro del mio vessillo,
il primo veltro della mia muta,
preziosa sella del mio cavallo,
farfalla rara della bacheca,
musica dolce del mio strumento,
ma sei fuggita al primo fischio
di quel fottuto bel cicisbeo,
brutta puttana che non sei altro,
troia, baldracca, sozza mignotta.

venerdì 21 ottobre 2011

Il gatto nero

Una mia libera interpretazione (in endecasillabi) di un racconto di E.Allan Poe :

Da bimbo amavo molto gli animali
uccelli, pesci rossi e poi da grande
i cani e specialmente il mio Plutone,
un nero grosso gatto mio compagno
di giochi e di carezze sul divano.
Ma poi la mia bontà fu soffocata
dal demone del bere e la mia mente
divenne odio rabbia e crudeltà.
Malato di violenza e cattiveria
un giorno presi il gatto e con orrore
con un coltello un occhio gli cavai.
Terrorizzato il gatto da quel giorno
fuggiva al sol vedermi e mi evitava
temendo ancora il suo torturatore.
Indispettito da questo suo rancore
ebbro di vino un gesto di violenza
e di malvagità feci sul gatto :
con una corda al collo l’impiccai.
Per questa colpa quella stessa notte
le fiamme mi bruciarono la casa
lasciando in piedi solamente un muro
con sopra la figura del mio gatto
orribilmente all’albero impiccato.
Per mesi fui turbato dal rimorso
di quel peccato e giunsi a ricercare
un altro gatto in sua sostituzione.
Un giorno ero entrato all’osteria
e vidi un gatto nero su una botte
con una macchia bianca e senza un occhio.
A casa mi seguì facendo fusa
e per un po’ a me fu ben gradito,
ma presto subentrò la mia avversione
mentr’era di mia moglie il prediletto.
Paura ed odio ora m’ispirava
mentre la macchia bianca mi sembrava
di giorno in giorno sempre più una forca.
Un incubo divenne anche di notte
e quando un dì mi venne quasi addosso
decisi di finirlo con la scure.
Mia moglie per salvarlo si frammise
e il colpo che sul gatto era diretto
uccise lei col capo in due spaccato.
Il corpo poi decisi di celare
nel buco di un antico focolare
scavando la cantina dietro un muro
che poi rimisi in piedi coi mattoni.
Il gatto nel frattempo era sparito
ed io potei dormire con sollievo
dal gatto e dalla moglie liberato.
Poi un giorno vennero i gendarmi
cercando in casa e dentro la cantina
ma non scoprendo niente del delitto.
A conversare un poco mi fermai
con loro ad ascoltar nella cantina
quando dal muro un ululato forte
sentimmo provenir con gran terrore.
Il muro fu sfondato dai gendarmi
e c’era dentro un corpo insanguinato
e sulla testa il gatto indemoniato:
con l’occhio fiammeggiante mi fissava
e al cappio della forca mi spediva.

martedì 18 ottobre 2011

Trucioli


Era un alto traliccio
eretto con pazienza
per giungere a toccare
quell’alta sua tensione,
ma la stridente fresa
ha morso i suoi montanti
e consumato il ferro
coi giri del suo tornio,
finché non resta a terra
inutile coacervo
di trucioli d’acciaio,
involute spirali
di contorte parole.
Ma un piccolo germoglio
ricresce come pianta
e punta dritta in cielo
protesa coi suoi rami
a regger la corrente,
cattiva conduttrice
di scariche e saette
ma salda ed afferente
i succhi suoi benefici.

domenica 16 ottobre 2011

Cartoline


Quando sono in vacanza, è una mia antica usanza mandare una cartolina agli amici con una poesiola in rima. Ma quest'anno non ne ho spedite, quelle fatte le ho consumate tutte in spiaggia, perché erano fatte su misura per gli animatori del villaggio, che mi chiedevano di recitarne una al giorno per il divertimento degli ospiti.
Ne ho mandata solo una via SMS (breve esercitazione in rime baciate) ad un'amica, per farla sorridere durante un serioso convegno...

Del vento le brezze
dei monti le altezze
dei lidi le ampiezze
di scogli le asprezze
di onde mollezze
di baci dolcezze
di queste bellezze
ti mando certezze.

venerdì 14 ottobre 2011

Calma piatta


Dopo i voli impennanti
sulle ali del vortice,
ebbrezza dei volteggi
e i tuffi più eccitanti
nel cavo dell’onde,
il boma appeso al vento
stringendo di bolina,
tra gli schiaffi di spuma
i salti e le virate,
un bagno all’improvviso
e ancora in sù la vela
schizzando sulle creste
finché spingono i groppi.
Poi s’è smorzato il soffio
e calano gli aneliti,
si placano i marosi
e termina la danza.
Si spegne ogni emozione,
s’arena la mia tavola
su questa fredda sabbia,
spiaggiato me ne resto
intriso qui a guardare
le nubi grigie in cielo
la calma piatta in mare.

mercoledì 12 ottobre 2011

L' incontro


Il vento soffiava forte, quella mattina, mentre col bavero alzato aspettavo l’autobus. Poi una folata venne a stamparmi sui pantaloni un pezzo di carta stracciato, che vibrava coi suoi lembi stracciati come per chiedermi di salvarlo dal turbine che lo trascinava, come per trasmettermi un messaggio. Non so perché, ma mi chinai a raccoglierlo.
Perché l’ho fatto? Forse mi ha messo pena vedere com’era ridotto, oppure un gesto meccanico, di quelli che fanno la delizia degli psicologi. Un frammento di manifesto?, difficile capire di cosa parlasse … INCONTRO ( ore 17,30 ), niente altro. Inchiostro azzurro carico.
Chissà perché non l’ho gettato, perché invece l’ho messo in tasca, come si fa a volte con un vecchio appunto ritrovato tra le pagine di un libro, con su un nome e un numero di telefono dimenticati, ma che istintivamente conserviamo, come se fosse un messaggio trovato in una bottiglia portata dal mare... Era proprio la sensazione provata in quel momento, come se quella parola, incontro, fosse un appuntamento che non potevo ignorare.
Il giorno dopo, tirando fuori il biglietto dell’autobus, mi ricapitò in mano. Allora entrai al bar dell’angolo, ordinai un caffè e mentre aspettavo la mia tazzina, tirai fuori il pezzo di carta e lo mostrai al barista: “ Le dice niente questo ritaglio?”
Bingo ! Centrato al primo colpo, perché la risposta fu questa:
“Ah! si, dev’essere un pezzo del manifesto che avevo anch’io in vetrina fino a una settimana fa. Era l’avviso dell’INCONTRO di pallavolo della Green Volley con la Libertas di Vimercate. Me lo ricordo bene perché ci ha giocato anche mia figlia”
Poi, rivolto alla bella ragazza che stava lavando dei bicchieri in fondo al bancone, proseguì:
“ Beatrice, vero che questo è un pezzo del manifesto del tuo incontro di Sabato scorso?”
Lei si avvicinò, diede uno sguardo al foglietto e subito esclamò sorridendo:
“Certo, ne ho uno appeso in camera, con la foto di tutta la squadra e ci sono anch’io, anche se c’ho una faccia da ricercata …” e mi fece una smorfia raccogliendo con una mano i capelli biondi sul capo, come per imitare la foto. Poi, con quell’aria sbarazzina e dandomi del tu :
“Ma perché lo vuoi sapere? Sei venuto a fare un’intervista alla playmaker della squadra?” e giù un’altra risata.
Io la fissavo come incantato, allora mi spruzzò con le dita bagnate un po’ di gocce in faccia e tornò saltellando ai suoi bicchieri senza aspettare la risposta.
Il padre mi servì il caffè e disse come scusandosi: “Non ci faccia caso… Ride e scherza, ma è una brava figlia e lavora sodo, e poi meglio così che quelle sempre immusonite..”. Cercavo una scusa per parlarle ancora, per cui mi avvicinai dalla sua parte e le chiesi:
“ E come è andato l’incontro?” E lei : “L’abbiamo stracciate di brutto, ovvio, siamo le più forti del torneo, quelle della Libertas se ne sono tornate a casa a corna basse !”
Intanto era uscita da dietro il bancone per servire una birra ad un tavolo: era molto alta e ben fasciata dentro i suoi jeans stracciati alle ginocchia. Indossava un maglioncino girocollo che le fasciava le spalle ampie e metteva in risalto il profilo del seno. Era corto quel tanto da lasciar scoperta la vita sottile, e sulla pelle si intravedeva l’inizio di un tatuaggio, una specie di drago fiammeggiante.
Mi tornò in mente il motivo per il quale ero entrato, quella specie di presentimento per il quale avevo seguito quella traccia, così andai a sedermi, ordinai un toast al formaggio e cominciai a sfogliare il quotidiano che era sul tavolino.
Quando Beatrice arrivò a servirmi il toast, le chiesi : “E quando ce l’hai il prossimo incontro?”
E lei: “Sabato prossimo, perché?” “ Beh, mi piacerebbe venire a vederlo, o meglio venire a vederti…”
Mi guardò con aria sospettosa e un po’ seccata, poi mi piazzò con ostentazione il piattino davanti esclamando: “ Senti un po’, sei venuto a mangiare un toast o a rimorchiare? Come mai questa gran voglia di venire a vedere una squadretta di quarta categoria ?”
Addentai il mio toast, poi la guardai fisso negli occhi e dissi con aria carezzevole: “ Beh, chi ti dice che non sia un magnate che vuole sponsorizzarvi per pubblicizzare il suo marchio?”
Mi arrivò subito una risposta gelida:
“Senti, è più facile che tu sia un magnaccia che un magnate, senza offesa. Di clienti che vengono qui a fare il cascamorto ne ho già abbastanza. Vedi di finire il tuo toast e vai a farti un giro..”
Un po’ risentito, mandai giù il boccone, poi mi alzai avviandomi verso l’uscita, e passandole accanto le dissi: “ Non sono né un magnate né un magnaccia, ma comunque sabato ci sarò, perché ho sognato di incontrare una ragazza, e quando ho sentito il tuo nome, Beatrice, ho capito che sei tu, perché il tuo onomastico è il 18 Gennaio, la data del mio compleanno, e il tuo nome significa “Colei che rende felici”, ed io la felicità la sto cercando da un pezzo!”

(pieffe)

lunedì 10 ottobre 2011

Dall'equatore al polo


Questa poesia l'avevo messa su Facebook, ma ho omesso la dicitura "|Qualsiasi riferimento a fatti o persone ecc.ecc." ed ha provocato la protesta di chi ha creduto di riconoscersi nell'immagine evocata dai versi, come avessi citato un nome specifico... Ma io scrivo seguendo un'ispirazione, e non è detto che debba per forza ispirarmi a qualcosa o qualcuno di concreto.
Comunque, ad evitare malintesi ed ipotetiche allusioni, riporto questi versi dove avrei dovuto metterli fin dall'inizio, qui dove non danno fastidio a nessuno...

Estate e l’orizzonte
che palpita dai vetri
di finestre sugli occhi
sollevando miraggi
oltre i fosfori accesi
del mio monoscopio.
La mia stanza
capanna sugli alberi
e la tua voce
un canto di uccelli,
la mia sedia
legata a cento funi
come cesta d’aerostato
per scoprire il tuo volto
tra le bolle di nubi,
e poi di nuovo gas
al mio lanciafiamme
e zavorre terrestri
gettate per salire
oltre la faccia nascosta
del tuo pianeta,
e poi rincorrerti
incerto stereogramma
saltando meridiani
capriole della mente
fino a spiagge deserte
tra un fuggire di granchi,
ghirigori di sabbia
il mio pugno a clessidra
per disegnarti un cuore
sulle colline madide
di spuma ricorrente
del tuo seno di pixel.
Ma le stagioni cambiano
invertendo la rotta,
un vento freddo a spingere
la mia chiglia più a nord,
e l’eco del tuo nome
che si perde lontano,
la tua stella polare
confusa tra le nebbie
di boreali aurore,
e una morsa di ghiaccio
che assedia il fasciame
del mio scafo arenato
del mio petto gelato,
solo un ultimo cane
per trainare la mia slitta,
una penna d’albatross
e il sangue di un tricheco
per scrivere la fine
sul diario di bordo.

mercoledì 5 ottobre 2011

Twin Towers


Su una parete della mia stanza ho la stampa qui a fianco, che comprai a New York nel 1999. E'una foto aerea forse trattata con la tecnica della solarizzazione che usavo anch'io in camera oscura per elaborare le immagini, e guardando bene si vedono ancora in fondo le torri gemelle. C'è una lunga strada, forse la 5th Ave. che come una scia bianca sembra mirare le torri, come fosse la traccia che poi seguirono gli aerei quel terribile 11 Settembre del 2001. Sono passati dieci anni da quel giorno, e sono ancora vive in ognuno di noi le sconvolgenti immagini delle torri colpite e fumanti.
Quel crollo non ha cambiato solo lo skyline della Grande Mela, ha segnato una data in cui tutto è cambiato nel mondo da allora, e tutti in qualche misura, chi più chi meno, ne stiamo pagando le conseguenze ancora adesso...