domenica 26 dicembre 2010

L'albero e il Natale


C’era un piccolo abete che cresceva rigoglioso e svettante nel bosco della montagna, accanto ad altri grandi e altissimi abeti e al loro riparo. Ma un giorno venne un boscaiolo e con l’accetta lo tagliò alla base, portandolo poi piangente di resina al mercato del paese.
Fu comprato dalla famiglia del farmacista e inchiodato su una tavoletta, messo in piedi in salotto e poi inghirlandato con festoni argentati, ornato con stelle e luci e tante palle multicolori appese ai suoi rametti aghiformi. Ai suoi piedi vide posare tanti pacchetti infiocchettati che la mattina di Natale i bambini vennero ad aprire con gridolini di gioia.
C’era una gran aria di festa in tutta la famiglia, ma il piccolo abete soffriva per la sua ferita e soprattutto aveva sete. Allora cominciò a scuotere leggermente i suoi rametti finché riuscì a far cadere un paio delle palle decorate, che caddero a terra in mille pezzi.
Sentì dire al farmacista che forse l’albero si stava seccando, poi lo vide versare qualcosa in un vaso d’acqua e si sentì immergere il tronco mozzato in quel liquido. Bevve con avidità e attraverso le sue vene spinse quella linfa a dissetare tutti i suoi rami.
Ma dopo pochi giorni l’acqua era finita e nessuno sembrava più preoccuparsi della sua sete. Allora fece cadere altre palle, piegò la punta per far cadere anche la stella luminosa che c’era in cima, e cominciò anche a staccare parecchi aghi dai suoi rametti e a riempirne il pavimento.
Venne il farmacista, e invece di portargli altro liquido nutriente, lo spogliò completamente da tutti gli addobbi, poi lo trascinò in fondo al giardino e preparò un fuoco per bruciarlo.
L’abete non voleva morire, così con le sue ultime forze sprigionò dalle sue fibre quella corrente elettrica che aveva visto usare dai grandi abeti per attirare i fulmini, e quando il farmacista stava per afferrarlo e gettarlo tra le fiamme, si sentì una grande scarica tra le nubi e una guizzante saetta di fuoco colpì in pieno l’uomo carbonizzandolo.
Ci fu una gran confusione, venne parecchia gente a portar via il cadavere e il piccolo abete restò abbandonato sul suo mucchio di sterpi senza che nessuno si curasse più di lui.
Nella notte piovve e la torba si impregnò d’acqua stimolando la ricrescita di tenere radici alla base dell’abete, che pian piano riprese forza abbarbicandosi al terreno.
Passò un anno, arrivò il Natale e il piccolo abete cominciò a tremare al pensiero che venisse qualcuno a tagliarlo di nuovo, dopo che per mesi aveva sopportato il cagnolino di casa che veniva a innaffiargli di pipì il tronco. Invece vide uscire i bambini del farmacista con le scatole degli addobbi, e in breve fu stupendamente adornato da capo a piedi, e riempito di lampadine che illuminavano la notte come piccole stelle lampeggianti.
Il piccolo abete crebbe rigoglioso e felice di risplendere ogni anno in quel giardino per la gioia dei bambini. Passarono gli anni, divenne il più grande albero del quartiere e anche i bambini crebbero , si sposarono e lasciarono quella casa.
Un giorno arrivò il sindaco a parlare con la moglie del farmacista, e decisero che per fare l’albero di Natale sulla piazza era molto più conveniente prendere quell’abete piuttosto che trasportarne uno dalla montagna. Così arrivarono i giardinieri del Comune, e in quattro e quattr’otto il povero abete fu tagliato, inchiodato su una pedana e innalzato in mezzo alla piazza principale del paese.
Il vecchio abete, ormai avvilito e quasi morto di sete, non ebbe neppure più la forza di reagire e provocare con la sua attrazione il fulmine. Ma spontaneamente il cielo, per punire gli uomini che non rispettano gli alberi e, invece di lasciarli vivi in vaso, li tagliano per Natale, scatenò un grosso temporale e un tremendo fulmine si scaricò sul grande abete bruciandolo completamente.

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