lunedì 10 ottobre 2011

Dall'equatore al polo


Questa poesia l'avevo messa su Facebook, ma ho omesso la dicitura "|Qualsiasi riferimento a fatti o persone ecc.ecc." ed ha provocato la protesta di chi ha creduto di riconoscersi nell'immagine evocata dai versi, come avessi citato un nome specifico... Ma io scrivo seguendo un'ispirazione, e non è detto che debba per forza ispirarmi a qualcosa o qualcuno di concreto.
Comunque, ad evitare malintesi ed ipotetiche allusioni, riporto questi versi dove avrei dovuto metterli fin dall'inizio, qui dove non danno fastidio a nessuno...

Estate e l’orizzonte
che palpita dai vetri
di finestre sugli occhi
sollevando miraggi
oltre i fosfori accesi
del mio monoscopio.
La mia stanza
capanna sugli alberi
e la tua voce
un canto di uccelli,
la mia sedia
legata a cento funi
come cesta d’aerostato
per scoprire il tuo volto
tra le bolle di nubi,
e poi di nuovo gas
al mio lanciafiamme
e zavorre terrestri
gettate per salire
oltre la faccia nascosta
del tuo pianeta,
e poi rincorrerti
incerto stereogramma
saltando meridiani
capriole della mente
fino a spiagge deserte
tra un fuggire di granchi,
ghirigori di sabbia
il mio pugno a clessidra
per disegnarti un cuore
sulle colline madide
di spuma ricorrente
del tuo seno di pixel.
Ma le stagioni cambiano
invertendo la rotta,
un vento freddo a spingere
la mia chiglia più a nord,
e l’eco del tuo nome
che si perde lontano,
la tua stella polare
confusa tra le nebbie
di boreali aurore,
e una morsa di ghiaccio
che assedia il fasciame
del mio scafo arenato
del mio petto gelato,
solo un ultimo cane
per trainare la mia slitta,
una penna d’albatross
e il sangue di un tricheco
per scrivere la fine
sul diario di bordo.

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