venerdì 23 ottobre 2009

Vita da cani


Nella sala d'attesa del veterinario, giorni fa, ero seduto difronte ad una coppia di anziani che avevano una gabbietta contenente un gatto soriano. Il poverino era completamente fasciato, con fuori solo la testa e la coda, ed un'aria visibilmente sofferente.
Chiesi informazioni credendo ad un incidente, ma seppi dai due premurosi padroni che il loro gatto era malato già da tempo di tumore, e periodicamente veniva per la chemioterapia. Per effetto della stessa e dei cortisonici, aveva perso tutto il pelo ed aveva la pelle molto fragile. Stupiva sentire con quanta perseveranza ed amore i due continuassero nella cura, nella speranza di far guarire o almeno sopravvivere la loro amata bestiola.
Questo episodio mi ha fatto riaffiorare i rimorsi che avevo già avuto altre volte ripensando al mio cane precedente, che pure amavo, ma che visse 15 anni sempre chiuso nel recinto del mio giardino, senza mai uscire a spasso, neppure per andare dal veterinario, senza mai entrare in casa solo perchè aveva il pelo lungo, e quando lo perdeva o solo lo bagnava poteva sporcare. Mi chiedo spesso per quale ragione e ingiustizia, o conversione mentale, o forse maggiore disponibilità di tempo o magari solo influenza mediatica, il cane attuale, invece, gode di due o tre passeggiate al giorno, visite sistematiche al minimo disturbo, bocconcini extra pasto per cani, altri bocconi scroccati durante il pasto dei padroni, beate dormite al caldo sui vari divani della casa, ed altre piacevolezze canine.
Soprattutto, vedendo la dedizione e l'amore ad oltranza di quella coppia col loro gatto, mi morde ancora la coscienza l'aver allora accettato di "addormentare", come suol dirsi eufemisticamente, il mio cane Drek, quando, ormai sofferente di artrosi alle zampe posteriori, non si reggeva più in piedi, e quindi di aver seguito il consiglio medico di sopprimerlo perchè non aveva più una vita "vivibile", senza che lui potesse esprimersi sul suo desiderio di vivibilità o meno, e forse perchè in realtà non volevo rendere scomoda la mia personale vivibilità.

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