domenica 22 agosto 2010

Aurora

Ancora un nome dei miei anni verdi, una breve storia durata lo spazio di un’estate…

Una valle ed un fiume,
quante sere sul ponte
a guardar la corrente
a giocar con gli amici
con le stecche giù al bar,
a imbucare monete
in quel vecchio juke-box.
Ed un giorno ti ho vista
fare il bagno in piscina,
la tua grazia, il tuo corpo
come un pesce lucente,
i miei tuffi carpiati
per attrarre il tuo sguardo.
Poi i miei pomeriggi
a seguire nel parco
il corteo delle bici
delle garrule amiche,
per vederti frenare
e il tuo tacito invito
ad osare un approccio,
a tentare un sorpasso
oltre l’aspra salita
della mia timidezza.
Venne il giorno di festa
e l’orchestra suonava
proprio all’ora del thè
nel giardino affollato
di uno splendido hotel.
Tu sembravi un diamante
tra frantumi di vetro,
mi guardavi e ho pensato
‘Vai, adesso o mai più’…
Con la voce tremante
ti ho invitata a ballare:
che emozione sentirti
aderente al mio petto,
la tua mano sottile
allacciata alla mia,
la tua tempia un contatto
troppo presto svanito,
le parole abortite
prima ancora di uscire.
Poi una schiera di giorni
col tuo viso nei sogni,
un distratto seguire
le allegrie degli amici,
le partite a pallone,
le serate al caffè.
Era l’ultimo giorno
di vacanza per me:
una moto a noleggio
per portarti con me:
eri molto indecisa,
ma ti ho quasi rapita,
non volevo lasciarti
senza dirti qualcosa
d’importante per noi.
Ti sei stretta nel vento
abbracciata alla vita,
ti ho portata lontano
sui sentieri del bosco.
Con la moto ormai ferma
esitavo a girarmi,
carezzavo soltanto
le tue dita intrecciate.
Alla fine sei scesa,
ti ho seguita nel bosco,
raccoglievi lamponi
che portavi alla bocca
come un tenue rossetto,
su un cespuglio di rovi
hai scoperto le more
e il viola del succo
ti ha dipinto la lingua;
si scioglieva nell'aria
il biondo dei capelli
e gli occhi abbagliavano
come verdi smeraldi.
Inebriante miscuglio
quel filtro di colori
come voglia improvvisa
di tuffare le labbra
tra i petali socchiusi
di quell'umida ninfea.
Ho attirato il tuo volto
con la prima carezza
e poi solo un trabocco
di due lave roventi,
calamite ora fuse
da un torrente di baci.
Tra parole spezzate
dai respiri crescenti
il sapore dei sensi
sulle nostre due bocche.
In un’ora bruciata
una storia d’estate,
la campana che avvisa,
(nonostante il tuo nome),
il tramonto del sole,
un ritorno, un addio,
un cancello richiuso
su un amore neonato
e già quasi morente.

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