sabato 28 agosto 2010

Matilde


Continuando il processo di regressione mentale che alcuni mi imputano come condizione addirittura patologica ( siamo a questo punto ? non credo di dover andare in psicoterapia, comunque mi rimetto al giudizio degli amici lettori….) oggi regredisco ancora un po’, sempre reinventando in versi una pagina del mio libro, all’epoca in cui non si può neppure parlare di amorini, ma, come questo descritto, di un semplice fuoco fatuo infantile, una lucciola intravista e rincorsa da lontano, ma mai raggiunta.

Primo sole avevi attratto
il mio giovane pianeta
con gli anelli sempre larghi
dell’eterna timidezza.
Ho girato per dei mesi
senza avere mai il coraggio
di fermarti quando andavi
dalla scuola a Via del Giglio.
I capelli a volte sciolti
sulle spalle oppure in trecce
che sognavo di tirare
come briglie per riuscire
a toccarti da vicino,
le tue occhiate e le tue soste
aspettando un mio contatto,
giravolte e bei sorrisi
come petali di fiori
per un’ape sempre incerta.
Poi davanti al tuo portone
aspettavi che io entrassi
per seguirti sulle scale,
ma ogni volta il mio coraggio
scompariva sulla soglia,
e restavo alla stazione
con in mano il mio biglietto
quando il treno è ormai partito.
Dopo mesi di rimbalzi
finalmente sono entrato
ed ho messo un cauto piede
sul primissimo gradino.
Tu abitavi al quinto piano
e ogni giorno io salivo
di gradini forse un paio.
Alla fine della scuola
ero ormai quasi arrivato,
ma mancava solo un giorno
e restò l’ultima rampa
a bloccare la mia ascesa.
Quando infine mi decisi
era chiuso il tuo portone:
persa l’ultima occasione,
eri andata già in vacanza.
In settembre ero convinto
di trovare la rincorsa
per tentar l’ultimo salto,
ma non sei più ritornata,
l’ho saputo dopo un anno:
eri all’estero emigrata.
Come effimera cometa
dalla luce troppo intensa,
abbagliante m’hai accecato:
un amore mai sbocciato
per timore di uno sguardo,
per paura di cadere
sulla linea del traguardo.

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