mercoledì 22 settembre 2010
Lo squalo
Questa non è una poesia, è solo un racconto ( già fatto in prosa tempo fa qui sul blog e ora messo in versi ) di una mia immersione, durante una spedizione nei lontani mari dell’oceano indiano. Mentre però nella versione in prosa lo squalo era un’allusione ad un personaggio particolare che era stato accecato da un cacciatore ignoto e “deficiente” , qui riferisco veramente come andarono i fatti, e cioè che il cacciatore deficiente in realtà fui io, anche se di quello sparo mi pento ancora adesso…
In quell’anno ero partito
per le isole Andamane,
ma era solo un’immersione
per scattare le mie foto
a quei pesci variopinti,
ai coralli e alle gorgonie
di quei mari tropicali.
Il fucile era soltanto
per difesa personale,
mentre gli altri miei compagni
eran tutti cacciatori
e riempivano la barca
delle prede più svariate,
barracuda e grosse cernie
e carangidi e tonnetti.
C’eran squali in abbondanza
ma arrivavano soltanto
se uccidevi qualche pesce
che profuso sanguinava.
Quella volta invece vidi
un squalo avvicinarsi:
era bello e rilucente
come un bel sottomarino,
ora rapido e guizzante
ora lento e circolante;
ad un tratto venne dritto
proprio in faccia al mio fucile:
partì il colpo per paura
e l’arpione lo trafisse
trapassandolo del tutto.
Lui tirava come un treno
trascinandomi sul fondo,
io mollai l’attrezzatura
per tornare a respirare,
poi tornai per ripescarlo:
era a fondo sulla sabbia
e sembrava come morto,
ma allo strappo che io feci
per portarlo in superficie
scattò in alto e diede un morso
alla pinna e poi troncando
della sagola il legame
fuggì svelto per andare
a morire nel profondo.
Fu un’inutile uccisione
di cui m’ero già pentito,
fatta un po’ per mia difesa
ma fors’anche per mostrare
che ero stato molto bravo
a infilzare un pescecane.
Quella fu l’ultima volta
che sparai con un fucile
e d’allora pesci e uccelli
ho centrato solo in pieno
con il fuoco delle lenti
del mio rapido obbiettivo,
e un arpione se potessi
nel sedere pianterei
di ogni stolto cacciatore.
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