mercoledì 29 settembre 2010

Mariella


Parafrasando un noto detto, che ho riadattato in “ Una poesia al giorno leva il medico di torno “, oggi scelgo una medicina in versi meno blanda e più corroborante.
Stavolta non è un flirt, per buona pace di chi critica i miei rimasticamenti giovanili. C’entrano meno i sentimenti e un po’ più i turbamenti, c’entra il fare all’amore senza arpeggi e ricami romantici, la prima esperienza sessuale, un corpo di donna scoperto e desiderato non per innamoramento, ma alla ricerca di un piacere puramente fisico.

Ero ancora sedicenne
e aspettavo già da un pezzo
di buttare nel cestino
manuali e fantasie
di conquiste immaginate,
i racconti degli amici
o le storie del Boccaccio,
e imparare veramente
da una pratica maestra
i segreti dell’amore.
Venne il giorno che mia madre
ospitò per qualche tempo
la nipote di un’amica.
Lei non era molto bella,
ma di corpo era un portento,
un gran petto prorompente
gambe sode e un bel sedere,
le movenze seducenti
di un felino vellutato.
Di mattina la vedevo
con la sua vestaglia corta,
i capelli sulle spalle
che faceva colazione;
mi guardava sorridendo
mentre nel passarle il latte
le spiavo quel bel seno,
poi diceva alla mia mamma:
“che bel figlio che hai sfornato,
chissà quante le ragazze
che gli corrono dappresso…”
Io sentivo un desiderio
che cresceva di ora in ora,
niente più le serenate
o i romantici pensieri,
ma volevo far l’amore
con quel nettare di donna.
Una sera, era d’estate,
giocavamo con gli scacchi,
lei le mosse mi insegnava:
qui ti mangio con l’alfiere,
qui ti monto col cavallo,
sei io sono la regina
tu mi prendi con la torre;
mi guidava con le mani
e con gli occhi mi mangiava
per mangiarmi meglio i pezzi.
Poi d’un tratto la sua mano
mi guidò su un’ altra zona
di scacchiera più allettante,
sotto il tavolo e la gonna
del suo bel vestito a fiori.
Io muovevo un po’ i pedoni,
ma ero ormai deconcentrato
e le mosse più importanti
le facevo con impegno
sopra i solchi di quel campo.
Quel bel gioco fu interrotto
dall’arrivo della mamma.
Lei mi disse sottovoce:
“vieni dopo mezzanotte,
lascio aperta la finestra,
io t’aspetto e poi t’insegno
con piacere a far l’amore.”
Con mia grande eccitazione
alle due di quella notte
dal terrazzo saltai dentro
nella stanza di Mariella:
lei era nuda nel suo letto
e alla luce della luna
il suo corpo era nell’ombra
una perla biancheggiante.
Come ardito marinaio
navigai col mio vascello
sulle onde di quel mare,
e scagliai più di una volta
il mio arpione sul bersaglio.
Poi scalai le sue pendici
fino in cima per piantare
il piccone sulla vetta,
e ogni volta che eruttava
quell’ardente suo vulcano
calde scie della sua lava
m’infuocavano la bocca.
Alla fine del viaggio
che durò per sette notti
ero esperto diventato
a giocare con sapienza
le pedine dell’amore,
e quell’arte mi è servita
per giocare altre partite,
ma soltanto nei tornei
capitati nella vita
veramente appassionanti.

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