giovedì 13 gennaio 2011

Il Capitano e il Vagabondo


C’era un uomo seduto su una bitta del molo di La Spezia, con un berretto da marinaio, un vecchio giaccone da lupo di mare ed un piccolo cane accovacciato a fianco. Guardava l’acqua oleosa e sembrava assorto in pensieri profondi, o semplicemente sonnecchiava.
Passò di lì un vagabondo e gli chiese “ Nostromo, chissà quante avventure capitano in mare….”
E lui laconicamente rispose : “Càpitano…” E quello: “ Oh, mi scusi, Capitàno !” Poi aggiunse: “Capitano, sto cercando un imbarco da un pezzo, mi va bene qualsiasi meta e qualsiasi lavoro, anche su una piccola nave, anche su un rimorchiatore, al limite un peschereccio, pur di partire, perché io non posso star fermo, sono un vagabondo e dopo tre giorni di sosta comincio a puzzare come il pesce…Lei per caso ha qualcosa da offrirmi ?”
L’uomo e il suo cane lo guardarono un po’ in cagnesco (più il cane dell’uomo), poi l’uomo indicò un vecchio gozzo ormeggiato poco distante e disse: “ E’ quella la mia nave, e non è neanche messa molto bene… Ma se è per non farti arrugginire, se vuoi ti faccio fare un giro qui attorno, così magari mi viene voglia di buttar giù un paio di lenze col bolentino. Però remi tu perché oggi sono molto stanco…”
Il vagabondo guardò con delusione il piccolo gozzo scrostato e unto che beccheggiava stancamente là sotto, poi con un’alzata di spalle e abbozzando mezzo sorriso, rispose: “Beh, non è questo che intendevo, ma se mi può dare un passaggio fino a quel cargo alla fonda laggiù al largo, magari riesco a rimediare un imbarco decente….”
“Ok, andiamo – disse l’uomo- tutto lì il tuo bagaglio?” aggiunse guardando il bastone con il fagotto in cima del vagabondo. “ Uso sempre un bagaglio leggero, per essere sempre pronto a partire…” rispose quello, poi aiutò il “Capitano” a recuperare il gozzo e ci saltò dentro, iniziando a vogare con forza verso la nave all’ormeggio. Arrivati sotto bordo, il vagabondo prese a gridare per farsi notare da qualcuno dell’equipaggio. Dopo un po’ si affacciarono un paio di marinai, che cominciarono ad urlare in una lingua apparentemente coerente coi caratteri cirillici dipinti sul fianco della nave. A larghi gesti fecero segno di togliersi di torno, e siccome il gozzo indugiava, arrivò più convincentemente una secchiata d’acqua sporca con contorno di cavoli marci e lische di pesce.
Il Capitano e il vagabondo credettero di interpretare che non erano molto graditi. Il primo rispose sputando ostentatamente contro lo scafo, e il secondo urlò: “Su questa sudicia carretta non ci verrei neanche se mi pagate…” tanto per darsi un contegno. Poi ricominciò a remare verso l’uscita del porto, e rivolgendosi al compagno di barca chiese: “ E adesso dove andiamo? Quando un marinaio salpa, non deve tornare mai nello stesso porto” Al Capitano questa massima sembrava una gran stronzata, ma non aveva voglia di discutere e disse: “Beh, se hai voglia di remare ancora, tieniti a dritta che ti porto a visitare le Cinque Terre”.
Così il vagabondo cominciò a remare verso occidente, doppiò lo scoglio di Portovenere e proseguì lungo l’alta costa ligure. Continuava a raccontare dei suoi viaggi, tanto a lungo che il Capitano si addormentò di nuovo. Non avendo altri uditori, il vagabondo si rivolse al piccolo cane, elencandogli tutte le razze della sua specie in ordine alfabetico, dall’alano al volpino. Sfinito, anche il piccolo cane, che non per nulla si chiamava Morfeo, cadde addormentato.
Giunsero ad una spiaggetta dove il cane e il suo padrone vollero scendere per il mal di mare che avevano, anche col mare calmo, per i racconti del vagabondo. Da lì partiva un sentiero che si arrampicava fino al borgo di Campiglia. Il vagabondo, che aveva visitato tutti gli angoli di mondo, cominciò a narrare tutta la storia di Tramonti-Campiglia, dalle origini ai nostri giorni. Inoltre disse che in cima c’era un ristorantino dove si potevano gustare dei prelibati piatti di pesce innaffiati da un ottimo Sciacchetrà, ed elencò tutto il menù dall’antipasto al dolce.
Il Capitano disse subito che a fare la salita lui non ci pensava neppure, ed anche Morfeo annuì. Chiamò col cellulare una sua amica normanna e le chiese di venirlo a trainare col suo gommone, perché era troppo stanco per remare al ritorno. Ma l’amica era impegnata a pescare e non poteva venire subito, così il Capitano chiamò un’altra sua amica che di solito passeggiava lungo un vialetto di quel monte, ed ella rispose subito all’appello: “Capitano, mio Capitano, arrivo subito e schettinando veloce ti porto su fino a quella casetta che ti piace tanto, dove potremo goderci insieme il panorama e cogliere insieme tanti papaveri, con la splendida vista del mare luccicante fino alla Gorgona”.
Il Capitano accettò subito l’allettante proposta, prese in braccio Morfeo e diede la mano all’amica, che pattinando rapida lo trascinò in cima alla montagna come agganciato ad uno skilift.
Il vagabondo, sentendosi un terzo incomodo, disse che conosceva a memoria tutta la mappa dei sentieri locali, e che ne avrebbe approfittato per farsi una traversata appenninica, raggiungendo la via Francigena, per fermarsi dalle parti di Fornovo, dove conosceva un ristorantino che serviva dell’ottimo culatello, ed elencò a memoria tutto il menù ed anche tutta la lista dei vini. Poi partì e se ne persero le tracce. Pare che qualche mese più tardi venisse arrestato per vagabondaggio.
Il capitano e la sua amica raggiunsero l’incantevole casetta a picco sul mare, dove lui non vedeva l’ora di appartarsi per farle ascoltare tutte le 38 sinfonie di Mozart e farle vedere tutti i suoi documentari girati sulle balze tramontiane ed i golfi spezzini.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Arrestato a Fornovo, il vagabondo venne rinchiuso nel poderoso Castello di Bardi, poco distante. Per sua fortuna, nel giro di pochi mesi, il reato di vagabondaggio venne depenalizzato. Fu così rimesso in libertà e potè continuare indisturbato il suo viaggio nella Provincia di Parma, passando prima da Borgotaro, per gustare i rinomati porcini e poi lungo il Pò, sino a Zibello, a mangiar culatelli e anolini in brodo di terza, innaffiati con lambrusco nero. Poi un riposante soggiorno alla terme di Salsomaggiore, tra bagni salsobromoiodici, ozono terapie e massaggi defatiganti. Venne il tempo di cambiar provincia e si diresse in quel di Bologna, per incontrare un' amica di vecchia data, che lo intrattenne con melodiose suonate al piano e splendide serate nelle nebbiose notti della "Dotta", tra locali tipici, balere e tanta allegria. Ma l'inverno proseguiva troppo rigido sino alla fine di febbraio, quando il vagabondo decise di lasciare il Paese dirigendosi verso lidi più caldi, raggiunse così lo Sri Lanka, facendo perdere le tracce. Solo alcuni mesi più tardi, giunse una cartolina dalla ancor più lontana Mongolia.

Ivano il vagabondo

paolo ha detto...

Ivano, ti ho preso un pò in giro perché in realtà invidio tutta la vitalità che io non ho più e che ti spinge sempre a vedere cose nuove e provare nuove esperienze...Non potendo farlo fisicamente, mi unisco mentalmente ai tuoi viaggi alla scoperta del nostro bel mondo, rivivendo quelli che anch'io ho fatto anni fa, con non minore spirito di avventura e di conoscenza. Attualmente potrei solo accompagnarti a mangiare culatello e bere lambrusco, e, perché no, a fare bagni termali tonificanti...Eviterei anche la tappa bolognese, che per me sarebbe deleteria (tendo ad inciampare sui tasti di quel piano...), e men che meno potrei raggiungere la Mongolia. Forse Ceylon sarebbe alla mia portata, ma ci sono già stato nel 1975....