mercoledì 26 gennaio 2011

Il pappagallo e la locandiera


C’era un pappagallo che per anni aveva volato per monti e per mari, e anche ora che era vecchio continuava a spostarsi da un paese all’altro, perché non voleva essere catturato e finire in qualche gabbia. Un giorno che si stava riposando su un ramo, sentì provenire un dolce canto dalla finestra di una locanda. Si posò sul davanzale e vide una giovane locandiera che cantava mentre impastava il pane.
Lei lo vide e gli lanciò delle molliche, continuando a cantare in modo così melodioso che il pappagallo, di solito diffidente, non fuggì subito ma restò come incantato ad ascoltarla. Allora la fanciulla tese la sua mano per invitarlo ad entrare. Il pappagallo, accertatosi che non ci fossero gabbie in giro, spiegò le grandi ali multicolori e andò a posarsi in cima alla credenza, temendo che lei volesse afferrarlo.
Ma poi capì che non c’era alcun pericolo, perché lei riprese a cucinare cantando. Ogni tanto lo chiamava esortandolo ad imitare il suo canto, e ogni volta che lui ripeteva quelle parole la fanciulla gli lanciava un bocconcino in premio. Verso sera il pappagallo tornò sul suo ramo, ma non volle allontanarsi e il mattino seguente tornò dalla locandiera, per imparare nuove parole e ricevere il premio.
Le lezioni continuarono anche nei giorni successivi, e alla fine l’uccello aveva imparato più di cento parole e anche qualche motivetto. Lei lo premiava sempre con qualche dolcetto e carezzandogli le piume, così il pappagallo si affezionò alla sua insegnante e ogni mattina la accoglieva recitando una tiritera formata dalle paroline più tenere che aveva imparato.
Un giorno la locandiera gli chiese di accompagnarla mentre serviva i pasti agli avventori della locanda, e di divertirli ripetendo le parole che gli venivano dette. Il pappagallo fu contento di seguirla appollaiato sulla sua spalla, di esibirsi imitando le parole che ascoltava e recitando le sue frasi preferite. I clienti alla fine gli regalavano qualche avanzo e gli dicevano “Bravo, ora dai un bacetto alla tua padroncina” e lui tutto contento pizzicava le gote della locandiera col suo becco adunco. Alla fine c’erano sempre applausi per lui e belle mance per la graziosa cameriera.
Ma dopo qualche tempo il pappagallo capì di servire soltanto a far guadagnare monete alla locandiera senza avere nulla in cambio, si sentì sfruttato e cercò di volar via. Lei lo attrasse ancora con qualche bocconcino, poi gli legò una zampa al posatoio, e quando lui cercò di tranciare la corda col becco lo rinchiuse in una gabbia. La mattina successiva lui si finse morto, e quando la fanciulla aprì la gabbia per prenderlo e seppellirlo, spalancò le grandi ali e fuggì lontano per sempre.
Morale della favola: se sei un pappagallo parlante, variopinto e libero, non farti ingabbiare come uno scialbo merlo e non imitare la bufaga, che l’antilope accoglie sulle sue spalle non perché ama la sua compagnia, ma solo perché è brava a togliere le zecche…

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