Chi mi seguiva e leggeva i miei scritti, sia in prosa che in poesia, mi ha più volte consigliato di indirizzarmi a quest'ultima, come espressione a me più congeniale e significativa. Seguendo questo consiglio, ultimamente mi sono dedicato a scrivere più poesie che racconti, o anche a trasformare e condensare una storia nata come novella in poesia, dove con altra forma di espressione dovrei comunicare, forse più efficacemente e concisamente, le stesse cose che avevo raccontato in prosa.
Quello che segue è un esempio di questo esercizio, e narra una storia ispirata ad un estate da me vissuta in anni molto lontani, quand'ero ancora un "teen ager", e ad una ragazza di nome Martina, che ancora oggi vado ogni anno a trovare nello stesso piccolo cimitero di montagna, dove riposa anche mia madre....
Mi aspettavi ogni giorno
sul muretto assolato,
con gli stacchi zebrati
sulle gambe incrociate
della tua abbronzatura.
Le tue treccine avvolte
come un nido d’uccelli
e due pomelli accesi
sul bianco del sorriso
tra le more mature
degli occhi nerazzurri.
Seguivo il tuo scalare
risalendo il torrente
come agile cerbiatta,
mentre tendevi in alto
esperta la tua mano
tra gli arbusti più saldi
tra i cespugli e le rocce
di scroscianti ruscelli.
Una sosta per dare
respiro al mio ansimare,
mentre a tazza colmavi
di reti le tue mani
per gamberi e girini.
Finché lassù spianava
sulla conca del lago
il confine del cielo
tra una quinta di abeti.
Ti sdraiavi sull’erba
a guardar la cascata
e la polvere d’acqua
luccicante nel sole.
Sfilavi i calzoncini
bagnati ad asciugare,
spesso un graffio o una spina
sulle tue gambe nude
affidati alle cure
del mio pronto soccorso.
Ti rivedo chinata
a bere l’acqua limpida
tra le mani socchiuse
e a sciogliere i capelli
nella pioggia di gocce,
con la maglietta intrisa
sopra l’acerbo seno,
le grida e le risate
com’eco ripetuto
sulle falde del monte.
Aspettavi ogni volta
un mio bacio improvviso
mentre distesa al sole,
socchiusi gli occhi appena,
le trecce sciolte attorno,
eri invito all’amore.
Ma quando finalmente
sfioravo le tue labbra
scappavi come morsa
da un viscido serpente.
E’ soltanto un ricordo
di un’estate lontana.
Son tornato a cercarti
qualche anno più tardi
sulle pietre del bosco,
sul torrente scosceso,
ma eri andata più in alto
con due ali spuntate
per andar fino in cielo.
Sono andato a trovarti
tra le fiorite lapidi
di una piccola chiesa,
sulle rive muschiose
di quel nostro torrente.
Ti ho vista e mi guardavi,
ancora quel sorriso
di gioiosa ragazza:
ora con gli occhi schiusi
aspettavi il mio bacio
su quell’umido marmo.
L’ho posato e stavolta
non ti ho vista fuggire:
sei restata a guardarmi
affacciata sul muro
del tuo piccolo nido,
tra le aiuole ed i fiori
del giardino sul monte.
3 commenti:
....proprio oggi ti ho commentato questo racconto,pensavo fosse un racconto di fantasia o misto tra realtà ed immaginazione.... bellissima poesia,riesci a catturare gli istanti di vita in prosa....stupenda complimenti....!!!!
Tenera poesia densa di pathos del ricordo.
La strofa finale commuove.
Saverio
Grazie per i vostri incoraggianti commenti a coltivare ancora fiori poetici nel mio giardino dei ricordi...
Posta un commento