sabato 30 ottobre 2010

South Sentinel



Finendo di sfogliare l'album delle mie movimentate escursioni marine, ecco il ricordo di un'altra brutta avventura vissuta attorno alla piccola e sperduta isola di South Sentinel, nell'arcipelago delle Andamane.
Partendo dalla nave "Tarmugli", ancorata di fronte a quella splendida e deserta isoletta, uscivamo in barca per delle battute di pesca subacquea. O meglio, gli altri cacciavano e io facevo foto, portandomi appresso il mio Katiuscia più che altro per difesa che per velleità venatorie.
Come mi era già capitato nel Mar Rosso, anche stavolta, saltato dalla barca per ultimo e subito distratto dalla bellezza dei fondali, fui trascinato dalla corrente, che si divideva sulla punta spartiacque dell'isola in direzioni opposte, verso la parte a sud, mentre la barca e gli altri si erano allontanati verso nord.
Dopo dieci minuti di faticoso pinneggiare, durante i quali non avevo progredito di un metro, mi resi conto che era inutile sfiancarsi e aspettai che venissero a riprendermi.
Dopo un'altra mezz'ora di deriva, finito ancora più a sud, decisi di buttarmi verso terra. Il mare era cresciuto e delle ondate enormi si infrangevano su un ininterrotto fondale di scogli corallini. D'altra parte non c'erano alternative, o buttarsi in quella bolgia rischiando di finire in briciole, oppure diventare un relitto qualsiasi nella vastità dell'oceano.
Passai dei lunghi minuti di indecisione prima di decidermi a saltare dal trampolino di una di quelle ondate. Aspettai una serie di onde più piccole e alla fine mi gettai in quel gorgoglio, in un ribollire bianco di spuma, senza vedere più nulla. Sentii strisciare braccia e gambe su una serie di rocce, abbastanza levigate per non lasciare il segno e infine, con un ultimo balzo, andai dritto ad inzuccarmi nella prima striscia di sabbia, saggiando nello stesso tempo la durezza ma anche la confortante concretezza della terra.
Ero esausto. Mi liberai dell'attrezzatura e mi misi all'ombra, anche se per farmi notare meglio avrei dovuto restare al sole. Mi resi conto che non mi restava che attendere, perché attraversare la foresta a piedi nudi era impensabile, seguire la costa rocciosa impossibile e tornare via mare inconcepibile.
Passarono circa tre ore, durante le quali, spossato com'ero, cercai di non addormentarmi, perché le centinaia di grossi granchi che vedevo zigzagare sulla sabbia avrebbero fatto, temevo, un lauto banchetto con i miei ottanta chili di carne fresca.
Finalmente vidi la barca spuntare dal promontorio e farmi dei segnali. Poiché non poteva avvicinarsi, non mi restava che ributtarmi in quella bolgia. Decisi di abbandonare sulla spiaggia fucile, pallone e cintura dei piombi ( ma non la mia Nikonos) per essere più agile e leggero. Poi al momento giusto, calzate le pinne, mi ributtai in acqua, superai rapidamente il tratto critico e raggiunsi la barca. C'erano solo i due marinai indiani, perché il gruppo era già rientrato sulla nave e solo allora si erano accorti della mia mancanza.
Mangiai gli avanzi, poi nel pomeriggio, quando gli altri decisero di tornare a pescare, mi feci lasciare sulla spiaggia, perché volevo tentare di andare a recuperare il mio fucile nuovo e il resto. Idea più balzana non mi poteva venire. In pratica si trattava di tagliare il promontorio, coprendo il tratto di boscaglia da una spiaggia all'altra.
Avevo calzato i miei stivaletti di gomma e iniziai la traversata. L'intrico divenne subito fitto e il percorso più lungo del previsto. Saranno stati i discorsi sui pitoni del capitano, o l'oscurità che aumentava, o i ragni in faccia, o le mille contorte radici sul terreno, o gli improvvisi starnazzamenti di grossi uccelli, o i mille fruscii dei grossi granchi che strisciavano tra le foglie, fatto sta che il timore iniziale stava pian piano diventando quasi paura.
Decisi di buttarmi verso il rombo che sentivo del mare, e fortunatamente quando arrivai mi resi conto che ero proprio sulla spiaggetta della mia meta. Raccolsi la mia roba e iniziai il percorso inverso, stavolta più spedito, seguendo la traccia dei miei rami tranciati.
Ad un certo punto, proprio in mezzo al sentiero, c'era un granchio enorme con le chele spalancate, uno di quelli che si arrampicano sulle palme per staccare i cocchi. Non c'era modo di aggirarlo e dovetti calargli con forza il macete sul carapace. Ma la lama si era sfilata e non la mollava, finché riuscii a recuperarla con un bastone e finire l'animale con altri colpi. Lo infilzai e me lo portai appresso come un trofeo, ma all'arrivo gli indiani non lo vollero in barca e dovetti buttarlo via.
Dopo una giornata così riposante, non c'è da stupirsi se, dopo cinque minuti dalla fine della cena, ero già sprofondato in letargo nella mia cuccetta...

1 commento:

Anonimo ha detto...

che avventura....woow....Patry