venerdì 12 novembre 2010

L'ippocampo e la medusa



C'era una volta un ippocampo che era nato del tutto simile ad un piccolo cavallino, non solo nella testa come gli altri ippocampi, e sua madre l'aveva abbandonato appena nato, vedendolo agitarsi con cinque code come un mostricciattolo. Lui era stato raccolto da una bella medusa che l'aveva allattato coi suoi lunghi filamenti, ed era cresciuto sano e forte come un bel puledrino. Con le sue quattro zampette galoppava nel mare molto più veloce degli altri ippocampi che avevano solo la coda. Però da grande si accorse che gli altri ippocampi con la loro lunga coda si attorcigliavano facilmente alla coda delle loro amiche, per corteggiarle e carezzarle a lungo, mentre lui, con suo corto codino, non riusciva ad avvicinarle ed afferrarle, e veniva trasportato via dalla corrente. E anche quando, galoppando controcorrente, ci riusciva, si accorgeva con rabbia che loro lo evitavano per la sua stranezza. Guardando gli altri ippocampi, vedeva che, dopo aver intrecciato le code, la femmina faceva tante bollicine, il maschio ci danzava attorno, poi lei le raccoglieva e le metteva in una sacca attaccata alla pancia, per tenerle al caldo.
Un giorno incontrò un ippocampina bellissima, con tanti fiocchetti in testa, le piccole pinne sventolanti come alucce d'angelo e una lunga coda attorcigliata che sembrava una chiave di violino. Lei non scappò intimorita dal suo aspetto, ma si dimostrò curiosa e disposta a farsi corteggiare. L'ippocampo, non potendo allacciarla con la coda, la afferrò stretta con le quattro zampette, ma forse strinse troppo e lei si divincolò, spaventata da quello strano abbraccio, e scappò via.
L'ippocampo, così respinto e amareggiato per la sua diversità, andò a chiedere consiglio alla medusa che gli aveva fatto da balia. Lei gli disse che se voleva far l'amore doveva diventare come gli altri ippocampi, trasformando due zampette in due pinne e attaccando le altre due alla codina per farla diventare più lunga.
Per far questo doveva spalmare per sette giorni e sette notti le sue zampette con il liquido urticante che lei aveva dentro i filamenti. L'ippocampo seguì le istruzioni e dopo una settimana divenne uguale agli altri ippocampi, e tutto contento tornò a cercare la sua ippocampina.
Lei vedendolo così trasformato accettò subito di intrecciare la lunga coda alla sua, e alla fine fece una gran nuvola di bollicine per farsele fecondare. L'ippocampo, inesperto delle manovre d'amore, credeva che quello fosse un gioco e invece di seminarle e restituirle alla sposa, cominciò a giocare con tutte quelle palline, colpendole di testa e calciandole con la coda per farle entrare in bocca ai pesci, ben contenti di partecipare a quel gioco e riempirsi la pancia.
Allora l'ippocampina, arrabbiatissima, abbandonò per sempre le sue uova e il loro incosciente padre, andandosi a cercare un altro sposo meno snaturato.
L'ippocampo raccolse tutte le palline, le mise nella sua sacca e tornò dalla medusa a chiedere ancora consiglio. Lei lo sgridò, gli spiegò che quelle erano delle uova da covare e che aveva gravemente offeso e deluso la sua compagna prendendole a calci.
Ma ormai il pasticcio era irrimediabile e non gli restava che finire di covare quelle uova. L'ippocampo capì quello che aveva combinato, e da quel momento curò le sue uova con grande istinto paterno finché tutti gli ippocampini nacquero e uscirono dalla sua sacca. Questo comportamento fu notato da tutte le ippocampe che passavano di lì, le quali si consultarono e convennero che sarebbe stato comodo, e anche giusto, convincere d'ora innanzi tutti i maschi a collaborare alle gestazioni, aiutando le femmine a covare i piccoli fino alla nascita. Così fu deciso e tutti gli ippocampi dovettero accettare, e da allora infatti la custodia delle uova nelle sacche, come una specie di gravidanza, fu affidata per sempre agli ippocampi maschi.

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