E' un'ode di un anonimo del '500, o forse di un contemporaneo un pò farneticante e dissennato...chissà, ma me lo scrivo per promemoria, dovesse mai servirmi....
Mi preme chieder venia se t’offese
il crudo tosco ov’attinse il mio stilo
nel commentar le celie che scambiavi
con lievi accenti tra amici sempre adusi
a misurar l’affondo dei lor detti.
Mi dolse deglutir l’aspra rampogna
e vederti adombrata per il dardo
incautamente tratto, come un sasso
gettato in mezzo a pavide colombe,
o lo strale che infrange le vetrate
mentre s’eleva in chiesa austero coro.
Forse ti parve un affilato brando
la mia giocosa spada di cartone
e ti ferì l’accento aihmè scurrile
di motti e di facezie indirizzate
come rozzo villano a gentildonna,
quasi a sfregiar li muri con graffiti
fosse talvolta la mia mano indotta
e non a colorar squisite tele.
E’ d’uopo porre un freno a tale eccesso
e porre un “accio” al fine del mio nome
in luogo del gentil diminutivo
che omaggi più garbati han meritato
in altre più lodevoli occasioni.
Se dunque per un verso piovve il fiele
dall’altro per compenso sparsi incenso
e forse equa sentenza mi parrebbe
l’esilio per più giorni in altro sito
piuttosto che l’estremo tuo castigo.
Ma se peggiore pena mi toccasse
per sempre col silenzio messo al bando,
poco varrebbe venir come a Canossa
e il miele delle scuse offrire in dono:
se il nappo è tale e debbo berne il succo
di soave licor urgerne gli orli
poco mi giova, e nottole ad Atene
e vasi a Samo il vano mio adornar
di fiori e di romanze il tuo balcone.
Ho intriso di vernice il tuo ritratto
e il dolce pianoforte ho soffocato
con le scomposte trombe del mio strillo:
giusta condanna parmi tracollare
dell’Ade eterno all’ultimo girone.
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