giovedì 14 gennaio 2010

Moscacieca


Da piccolo ricordo che mi divertivo a bucare con uno spillo gli occhi dei ritratti nell’album delle foto, specie quelle, ripetute ogni anno, della scolaresca delle elementari, e i più mirati erano i compagni che mi stavano antipatici o mi avevano fatto torti, come se con quella specie di rito vudù volessi scacciare il maligno che mi evocavano quelle facce.
Alla fine di questo sadico sfregio mettevo la foto controluce per vedere meglio i fori e la luce che, passando dentro, dava un effetto spettrale a tutti quei visi sfigurati.
Le nostre classi erano di soli maschi perché allora non c’erano classi miste, ma io avevo rubato la foto della ‘quinta C’ di femmine dove c’era una mia fiamma, e a casa continuavo a fantasticare guardando il ritratto di questa bambina con le lunghe trecce bionde, che peraltro ignorava, o forse aveva solo intuito, questa mia passioncella.
Ma un giorno la vidi ai giardini per mano ad un ragazzetto che sapevo mio rivale, ed anche dopo li vidi sempre assieme nei corridoi e fuori dalla scuola.
Mi prese una tale rabbia che afferrai la foto della sua classe e le sfondai gli occhi con un grosso chiodo. Nei giorni successivi non la vidi a scuola e mi dissero che forse era malata. Restò assente per il resto della settimana ed io cominciai a temere per lei, come se con quel gesto le avessi fatto il malocchio e le avessi procurato del male.
Sapevo dove abitava perché l’avevo seguita diverse volte all’uscita dalla scuola, allora la Domenica successiva entrai nel cortile dov’era la sua casa e vidi che c’erano tanti bambini che facevano girotondo. Poi d’un tratto vidi lei con gli occhi bendati, tenuta per mano da due amiche che l’accompagnavano a giocare con gli altri. Ebbi un tuffo al cuore e per un momento temetti, per una specie di maleficio, di averla accecata anche nella realtà, ma poi vidi che la trascinavano ridendo in mezzo al cerchio e la facevano ruotare come una trottola, e capii che stavano tutti semplicemente giocando a moscacieca.
Però quello spavento aveva lasciato una traccia nel mio subconscio, perché d’allora persi l’abitudine di forare gli occhi dei ritratti, non solo, ma mi restò addosso un po’ di senso di colpa per cui ancora adesso, se vedo un cieco per strada l’aiuto ad attraversare, e se mi capita, come di recente, di incontrare un non vedente navigando su internet, cerco un contatto come se la mia coscienza dovesse ancora farsi perdonare qualcosa per quell’antico sgarbo.
Poi magari, come Fantozzi che rompe un vaso cinese, lo faccio così maldestramente che vengo giustamente mandato al diavolo e me ne torno a corna basse a dire cretinate su questa pedana virtuale…

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