mercoledì 24 febbraio 2010
Sogno di una notte di mezza estate (del '76)
A notte fonda arrivai davanti al palazzo di Giulietta. Scavalcai il muro di cinta e mi calai nel giardino, sotto il suo balcone.
Modulai il verso dell’usignolo ed ella venne subito ad affacciarsi, gettando verso di me le sue trecce disciolte. Afferrai quei capelli, ma le trecce si allungavano come elastici e non riuscivo ad alzarmi da terra.
Giulietta piangeva e le sue lacrime mi piovevano sul volto. Le dissi di saltare: se io non potevo salire, doveva gettarsi lei, ed io l’avrei afferrata fra le mie braccia.
L’amore la spinse fuori senza esitazione, ma quando fu nell’aria cominciò ad aleggiare come una foglia presa dal vento e non riuscii da afferrarla, lei volò lontano da me e poi cadde nella fontana che era in mezzo al giardino.
Corsi a raccoglierla e vidi che i suoi occhi erano chiusi come se dormisse, i suoi capelli bagnati come alghe del mare, e la sua veste leggera trasparente come un’ala di libellula.
La sua pelle candida affiorava come una luna pallida dietro un velo di nubi. Ero affascinato dalla perfezione di quel volto angelico, dal collo delicato, da quel seno acerbo che sfioravo con le dita e mi accendeva i sensi, dalle magiche pieghe di quel corpo che, come per incanto, si offriva ora al mio sguardo.
Fui preso da un impulso irresistibile di possederla, di sentirla parte di me, di penetrare fino al fondo del suo corpo e della sua anima.
La adagiai in mezzo ai fiori, ancora svenuta, e col mio stiletto tagliai la veste imbevuta d’acqua liberando le pieghe morbide della sua pelle, luccicante di piccole gocce alla luce tremula delle torce accese nel portico.
Presi a baciarla sulla bocca e sentii il sapore di un piacere mai gustato. Il suo seno, dapprima pallido e freddo, ora mi scaldava il viso e si animava lentamente sotto le mie labbra.
Come resuscitata da un sonno eterno, gli occhi socchiusi, una fiamma accesa sul volto, il respiro era l’eco del suo cuore in tumulto. Sembrava stesse sognando, e come in delirio sussurrava il mio nome.
Le baciai la pelle delicata del ventre, carezzando il velluto bruno della sua purezza, ed ella si aprì come un fiore al sole del mattino, accogliendo nel suo grembo tutta la forza e lo spasimo del mio desiderio.
Gettò un lamento, quando la presi, e sulla sua gioia di donarsi vidi passare un’ombra di dolore, ma ormai la mia era una corsa senza freni, oltre la soglia della ragione, come un fiume che travolge tutto e brama solo di perdersi nel grande mare.
Così, lentamente, trascinata dal mio impeto, il suo dolore ormai confuso col piacere, la sentii annientare ogni difesa ed abbandonare tutto il suo essere in quel possesso, e il suo corpo vibrare all’unisono col mio, la nostra frenesia ingigantire tumultuosamente verso l’acme finale.
Toccammo insieme, al vertice della spirale di tensione, i vertici del piacere, e fu come una scarica folgorante che trapassò Giulietta in quell’attimo, e il suo grido risuonò nel mio inconscio come un segnale d’addio, e mi sentii strappare da quel sogno inebriante.
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